Nicoló, Duccio e il senso delle cose: le fonti di Follonica e la loro leggenda

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.

Oltrepassai il cancello d’ingresso ai giardini del Leocorno e imboccai la Vallata. Correvo a perdifiato, come quando vuoi seminare qualcosa dietro di te e andare incontro a un presentimento soltanto immaginato. L’erba era lunga e le ginocchia scoperte prudevano.

Intravidi da lontano merli in muratura spuntare dal basso, come il primo strato di una città che riemerge dalla copertura del tempo. Mi avvicinai. Dovevo esser giunto alle famose Fonti di Follonica, conosciute dai senesi per il nome e la fama che si portano appresso di esser state, un tempo, le fonti più belle della città. Proseguii più adagio. Raggiunsi l’ampia vasca e mi sedetti sul suo bordo consumato. La rovina desta un certo fascino nell’uomo: materiale attraverso cui il passato ci giunge, grazie a essa il nostro legame col tempo si palesa. Il suono dell’acqua che un tempo qui scorreva riempì il silenzio che domina lo spazio di natura cittadino e velò il cinguettio degli uccelli.

 

 

 

 

Assieme allo scorrere immaginifico dell’acqua, dai rami degli alberi mi giungevano singhiozzi piccoli e acuti, simili al pianto di un bimbo. Mi guardai attorno: ero solo. Un po’ per scherzo, un po’ perché credo alla presenza del passato, chiesi: “Perché piangi?”

Non attendevo una risposta, che invece arrivò: “Piango per la mia mamma”.

“L’hai perduta?” continuai.

“No, non io. E’ lei che ha perso me.” La lucidità della vocina soffice mi indusse ad andare avanti.

“Hai voglia di raccontarmi?” Chiesi.

“La chiamavano La Signora delle Fonti. Veniva sempre qui, ogni giorno, ad aspettare il ritorno del cavaliere che l’aveva sedotta. Il figlio dell’incontro della loro passione e della storia d’amore mancata sono io. Qualche mese dopo il loro incontro lui se ne andò, chiamato a combattere nelle Crociate. Da allora, gli occhi di mia madre furono sempre protesi a quell’oltre che aveva conosciuto e che non vedeva più apparire. Diventarono come ciechi: io le passavo davanti, senza che lei mi vedesse. Un giorno mi sporsi troppo per bere dalla fonte, e caddi giù. Proprio sul lato dove adesso stai tu seduto. Lei era sull’erba, le ginocchia esili consumate dalle lunghe passeggiate piegate sul lato destro e coperte dallo stesso vestito color lillà. Sorde ai rumori del mondo che non fossero la voce di lui, le sue orecchie non udivano i miei strilli. L’ossigeno iniziò pian piano a lasciar vuoti i miei piccoli polmoni, la vista si fece appannata. L’ultimo pensiero fu per la nostra più grande ricerca: l’udito teso a un rumore di zoccoli, la vista al baluginare della sagoma di mio padre a cavallo”.

Si dice che alle Fonti di Follonica si aggiri ancora il fantasma del figlio della Signora delle Fonti. Se con delicatezza e orecchie ben aperte vi recate qui, è possibile che racconti la sua storia anche a voi.

 

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci