Mostro di Firenze: l’Ego, l’eccitazione, l’emozione

Il delitto di Baccaiano è argomento di studio interessante per le atipicità che lo caratterizzano. Questa volta il Mostro rinuncia a praticare le escissioni in favore di qualcosa di diverso

 

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Il delitto di Baccaiano è argomento di studio interessante per le atipicità che lo caratterizzano.
Questa volta il Mostro rinuncia a praticare le escissioni in favore di qualcosa di diverso, ulteriore rispetto agli omicidi precedenti: mette in scena un delitto fortemente teatrale dal punto di vista della realizzazione (vedi tutte le problematiche inerenti le macchie di sangue all’interno e all’esterno della macchina, le perplessità che sorgono su chi effettivamente fosse alla guida), e misterioso allo stesso tempo per tutti quei dubbi che lasciano l’analisi della scena del crimine e la sua ricostruzione basata sul racconto di alcuni testimoni, che dipingono un quadro incongruente e di difficile interpretazione.

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Una personalità metodica come quella del Mostro ha gestito la situazione di pericolo in maniera fredda e calcolata; secondo la teoria della scelta razionale (elaborata nel XIX secolo da alcuni economisti e poi ripresa successivamente da studiosi di altri campi, quali antropologi, psicologi, ecc…) il soggetto che delinque elabora tutta una serie di valutazioni prima di correre un rischio. Fa, cioè, un esame dei costi e dei benefici che si ricavano da una determinata azione.
L’analisi è sempre molto lucida e ben condotta: non stupisce quindi che il nostro serial killer, anche questa volta, riesca a farla franca senza troppi problemi.
Dobbiamo supporre che i luoghi per lui rappresentino un qualcosa di importante: ne ha una conoscenza approfondita, sa ogni via di fuga possibile, non teme di farsi vedere e dunque di farsi riconoscere.
Come abbiamo visto precedentemente, il Mostro ama relazionarsi coi mezzi di comunicazione, appagando il lato narcisista della sua personalità.
Altri tratti tipici dei profili psicopatici sono il rischio e la tendenza alla noia: l’attrazione di un killer verso attività rischiose ne aumenta l’eccitazione e la soddisfazione per la riuscita dell’impresa omicidiaria. Perciò anche il modus operandi del Mostro subisce un’evoluzione: il periodo di raffreddamento emotivo tra un delitto ed un altro è ormai di circa un anno (con la particolarità del doppio omicidio del 1981), la “noia” lo spinge a cercare emozioni nuove e diverse.
Seppur rischiando, il suo piano di morte riesce, e senza che i presunti testimoni di quella notte riescano a fornire spunti utili alle indagini.

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Il tema della psicologia della testimonianza è da sempre uno dei più affascinanti nelle scienze forensi, sia per le implicazioni che comporta in sede processuale, sia per gli studi scientifici rigorosi condotti a proposito di essa.
È un fatto che, indipendentemente dalla loro accuratezza, le testimonianze rese sia durante i procedimenti, sia in sede di indagine, abbiano un peso notevole nell’esito di un caso; per cui è di fondamentale importanza capire quali possano essere gli indicatori che rendono un testimone attendibile, che è diverso dal considerarlo credibile, e quanto i racconti resi aderiscano alla verità fattuale.
Tale compito è affidato a professionisti che conducono analisi dettagliate delle persone implicate nel fatto; qui possiamo velocemente elencare quali sono gli elementi che concorrono a formare un’immagine di un determinato delitto, e quali sono quelli che vanno tenuti in considerazione come fuorvianti.
Un testimone che assiste ad un determinato evento deve vedere quanto accade, ricordare e raccontare; questa analisi mentale dipende da tanti fattori: gli elementi centrali della scena, quelli periferici, la quantità dei dettagli, le condizioni di luminosità, la distanza dal fatto, eventuali problemi alla vista, i preconcetti, l’immaginazione, la suggestione, come viene condotto l’interrogatorio, il tempo trascorso tra il fatto e la testimonianza resa, e così via. Inoltre un dettaglio non trascurabile è quello emozionale che inevitabilmente colpisce chi assiste ad un certo tipo di scene violente.
Per questo motivo le testimonianze che si hanno sul caso “Mostro di Firenze” sono divergenti e non coincidenti: sono rese da persone con percezioni e emozioni diverse, che non per forza però, debbano essere considerate inattendibili.
Difatti questo non è necessariamente un male: il compito di chi indaga è valutare le testimonianze rese, con l’ausilio di strumenti e di professionisti del campo, per accertare quali siano quei dettagli che presumibilmente sono veritieri.
Bisogna diffidare invece da testimonianze rese tutte uguali ed identiche; queste probabilmente sono frutto di una rielaborazione, tanto individuale, che collettiva, se si tratta di più testimoni, che di certo non ha quasi più nulla di genuino rispetto a ciò a cui si è assistito.
Una volta, durante gli studi universitari ho provato sulla mia pelle un esempio di testimonianza condizionata dalle conoscenze e dalle convinzioni preesistenti: tramite un filmato, dovevamo riconoscere un presunto ladro durante una rapina in banca. Ecco, nonostante fossimo tutti attentissimi, al di fuori della scena, e quindi in una condizione psicologica e emotiva serena, e tutti assolutamente pronti a smentire queste teorie, nessuno di noi è riuscito ad individuare il ladro durante un riconoscimento fatto stile telefilm americano; la nostra convinzione che tra quei sei personaggi di fronte a noi fosse presente proprio il delinquente, ha fuorviato la nostra percezione e vanificato l’attenzione che avevamo impiegato nella visione del filmato, oltreché fornire una testimonianza che avrebbe potuto incriminare un innocente.
Perciò pensare che chi vive un determinato shock di fronte a un fatto criminale, anche già avvenuto, possa essere lucido e assolutamente portatore di verità è una presunzione grave.

Giulia Morandini
Criminologa
Università La Sapienza Roma