La Rocca di Tentennano: la fortezza dei Salimbeni protagonisti della “malamerenda”

La Rocca di Tentennano si trova a Castiglione d’Orcia, nella frazione di Rocca d’Orcia, tra i cipressi e le crete della vallata e le prime pendenze del monte Amiata, in zona sismica ma di modesta entità dove spesso avvengono sciami di molte scosse ma fortunatamente senza danni di rilievo come avvenuto poche settimane fa.
Il paesaggio è caratterizzato da formazioni geologiche caratteristiche come crete, biancane e calanchi, createsi in milioni di anni attraverso l’erosione operata dagli agenti atmosferici.
La possente fortezza di Tentennano o Tintinnano, è ricordata già in un vecchio documento dell’853 ovvero di quasi 1200 anni fa. Dopo aver fatto parte del feudo dei Tignosi, passò a Siena che, nel 1274, la cedette ai Salimbeni. I nuovi proprietari intervennero radicalmente sul vecchio castello, che fu trasformato nel fortilizio ancora oggi visibile. La rocca, è un vero e proprio nido d’aquila, abbarbicato sopra un dirupo dal quale domina il paesaggio circostante.
Il nome della rocca è legato a leggende e suggestive supposizioni.

Secondo alcuni potrebbe derivare dall’etrusco “Tinia”, che rappresentava Giove, la divinità per eccellenza presso i romani. Magari qui si ergeva la sua dimora, da dove scagliava fulmini, oppure vi era un santuario in suo onore… fatto sta che da sempre ha incuriosito ed affascinato gli uomini.
Qui vi venne anche Santa Caterina, che volendo riportare la pace fra Siena e i Salimbeni, si recò a Tentennano e durante la permanenza, miracolosamente, imparò a scrivere.


I Salimbeni, signori di Tentennano sono tra le altre cose protagonisti di un’altra storia che si svolge un po’ più giù della Valdorcia, lungo la Cassia. I salimbeni infatti odiavano da sempre i Tolomei, un’altra potente famiglia senese. Tutto li divideva ad iniziare dalle simpatie politiche, infatti, i primi erano ghibellini, i secondi guelfi ed ogni occasione era buona per scontrarsi. La situazione era diventata veramente insostenibile, cosicché nel 1337, nel Giorno dell’Angelo, si cercò di creare un’occasione per portare un po’ di pace fra le due consorterie. L’incombenza fu assunta, di buon grado, dai contradaioli del Bruco, che organizzarono, fra le vigne, un pranzo al quale avrebbero partecipato diciotto Salimbeni e altrettanti Tolomei. La scampagnata pacificatrice si svolse nella migliore delle maniere. I piatti si susseguirono abbondanti fra la serena soddisfazione dei commensali, fino a quando fu portato un vassoio con diciotto tordi, una rarità vista la stagione.
I Tolomei, a quel punto, presi da frenesia, se ne appropriarono senza riguardo per gli altri che, irati, misero mano alle armi e li uccisero al grido “a ognuno il suo”. Così, quella che doveva essere la merenda della pace si trasformò in una strage che originò nuovi odi, rancori e vendette.
Ancora oggi una località lungo la Cassia porta, in ricordo della strage, il nome di “Malamerenda”.
Si narra che i diciotto Tolomei siano sepolti sotto una scalinata nel chiostro della chiesa di San Francesco a Siena.

Foto:Parco della Val d’Orcia
Gabriele Ruffoli