La Grande Guerra: un conflitto di contraddizioni

L’incontro “Una guerra differente” di Marco Mondini è il primo di una serie collegati alla mostra “Fotografi in trincea. La grande guerra negli occhi dei soldati senesi”

Marco Mondini

Marco Mondini

Fra poche ore, alle 17.30, ci sarà il primo incontro collegato alla mostra “Fotografi in trincea. La grande guerra negli occhi dei soldati senesi”, allestita nel Complesso museale Santa Maria della Scala di Siena e aperta al pubblico fino al 15 gennaio 2017. All’Accademia degli Intronati (Palazzo Patrizi, via di Città, 75) si terrà la conferenza  dal titolo “Una guerra differente” tenuta dal professore Marco Mondini, ricercatore all’Istituto storico italo-germanico di Trento e docente di Storia contemporanea all’Università di Padova.

Una delle più popolari interpretazioni del primo conflitto mondiale vuole che gli europei siano “scivolati” in una guerra di dimensioni e durata impreviste senza rendersi conto di ciò che stava succedendo. Evocata già da illustri protagonisti contemporanei, l’idea di un’Europa popolata da “sonnambuli” e miopi irresponsabili è tornata recentemente alla ribalta. Ci sono pochi dubbi che, per i tempi della scelta e per le dilanianti tensioni interne che accompagnarono la decisione dell’intervento, il Regno d’Italia si debba escludere dal novero delle comunità di sonnambuli. Il che non implica che la guerra italiana, dal suo momento iniziale alla sua lunga (e per certi versi mai compiuta) fine non sia stata un coacervo di paradossi.

Il primo livello di aporie della guerra italiana risiede della contraddittorietà eclatante tra i fini dichiarati, la sua conduzione e i suoi risultati. Caso unico tra le retoriche dell’intervento, il governo italiano non tentò di invocare a fondamento della sua decisione una minaccia che rendeva la guerra una necessità difensiva. L’intervento del Regno d’Italia nel conflitto europeo fu, in effetti, presentato come l’ultima campagna del Risorgimento, che avrebbe permesso finalmente a tutti gli italiani di far parte di un unico stato nazionale. Ma i mesi che separano la dichiarazione di neutralità nell’estate 1914 dal ‘maggio radioso’ del 1915 testimoniano abbondantemente come questa visione, romantica e ideale, non fosse solo largamente estranea alla massa della popolazione ma tutt’altro che condivisa anche dalla classe dirigente.

Un altro livello dello iato eclatante tra il discorso sulla guerra e la sua realtà fu che un conflitto presentato come corale sforzo della nazione (e, anzi, prima grande occasione di incontro e sacrificio collettivo per tutti gli italiani), fu in realtà sostenuto prevalentemente da una piccola parte della popolazione maschile (al fronte) e da alcuni segmenti sociali (nel paese).

Infine, un terzo livello del paradosso è lo scarto tra la realtà della conduzione e della gestione di una guerra ad altissimo tasso di modernità tecnologica e un macro-racconto imperniato sulla rappresentazione di un conflitto romantico e premoderno.