La Cazzaria: cinquanta sfumature… alla senese

Correva l’anno 2011 e la scandalosa trilogia delle Cinquanta Sfumature si affacciava per la prima volta sugli scaffali delle librerie. Orde di curiosi si apprestavano ad accaparrarsi una copia del libro più peccaminoso del secolo e in molti potrebbero giurare di aver provato una sorta di disgusto nell’apprendere l’esistenza di tali pratiche erotiche… Chi glielo spiega che noi senesi, già nel ‘500, ne sapevamo più di Mr. Grey? Sì, perché tra la genialità che sembra aver inondato le menti del tempo, troviamo il “pudico” Antonio Vignali e il suo libro, La Cazzaria, che della libidine non solo fece uno stile di vita, ma ne sviscerò le forme e le pratiche, ponendosi domande sulle variopinte dinamiche dell’amplesso. Diciamocelo, a tutti son passate per la testa, ma in pochi hanno avuto il coraggio di discuterne.

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Inutile indugiare sulla vita del Vignali, basti aver cenni della sua mente dotta, dell’intelletto che lo portò a parlare della nobile arte dell’erotismo, tanto soppressa e volgarmente discriminata con l’arrogante censura di cui lui si fece beffa.

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Lo scrittore senese, membro dell’Accademia degli Intronati, fu esiliato nel 1530 in seguito alla sconfitta della fazione popolare per cui parteggiava e si presume che La Cazzaria sia stata pubblicata a Venezia, nel 1531. La reazione di chi si ritrovò tra le mani l’osceno libro è quanto mai scontata, anche perché il Vignali, sotto lo pseudonimo di Arsiccio Intronato, poco si arrovellò per ricercar termini aulici, atti a descriver i di lui quesiti. L’opera si apre con la prima botta di realtà, ragionando sull’ancestrale domanda: perché, nell’atto, i gioielli di famiglia non trovan locazione in nessun pertugio? E in tali questioni si avviluppa lo scorrer chiaro e forte del libro, ma si consideri che il linguaggio trovato in questa breve cronaca che oggi vi propongo, ben discosta da quello diretto dell’opera. Al Vignali piaceva chiamare le cose con il loro nome. Un ritorno alla naturalezza, quindi, un tripudio di augelli e vulve che anima la prima parte dell’opera, la quale prosegue con un dialogo tra il godereccio e il sodomitico, tra il protagonista ed il suo amico Sodo (a buon intenditor…) ma che volta anche uno sguardo alle vicende politiche della repubblica di Siena, ormai prossima alla caduta.

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Ovviamente ad attirar l’attenzione del lettore è la prima parte, che non solo di membri e orifizi tratta, ma anche del trionfo delle natiche di cui si è perso il valore, incitando il lettore a rivalutar la parte, senza vergogna o inutili pudori. Vignali si interroga sull’ars amandi, su importanti temi che vedono il contrapporsi dei due sessi, ad esempio, perché le donne non mostran villosità su tali natiche? Perché l’uomo sembra esser tanto orgoglioso dei proprio escrementi?

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Interrogativi che ancor non hanno risposta e che rischiano di affliggere l’umanità fino alla fine dei tempi! Il Vignali è un eroe, quindi, un pioniere dell’amplesso e della naturalezza dell’umano che si batte con fervore contro la minaccia della censura. Tra le pagine dell’opera, infatti, si può trovare un esplicativo ragionamento su quanto essa non sia altro che un ritorno alle origini, un chiaro richiamo ai dotti latini come Ovidio, Apuleio, Orazio e Virgilio che, a quanto pare… Di cazzarie ne hanno scritte a bizzeffe!

Ancora una volta, è proprio il caso di dirlo… Geniali, i senesi del passato!

Arianna Falchi