I primi proiettili del mondo hanno 45mila anni: lo studio di un gruppo internazionale con ricercatori dell’Università di Siena

45mila anni fa armi da caccia innovative offrirono all’uomo moderno un vantaggio competitivo nei confronti del Neandertal. E forse potrebbe essere questo uno dei motivi della crescita rispetto all’autoctono uomo di Neandertal. Perché fra 45mila e 40mila anni fa Neandertaliani e uomini moderni (sapiens) hanno coesistito in Europa. Uno studio genetico delle due popolazioni suggerisce che, durante questo periodo, la densità dei siti dell’uomo moderno fosse superiore a quella dei siti neandertaliani; tuttavia poco si sa dei motivi per i quali l’uomo moderno fu in grado, dopo il suo arrivo in Europa, di crescere numericamente e di occupare con successo nuovi territori, mentre i Neandertaliani, ossia le popolazioni autoctone, non riuscirono a mantenere una densità di popolamento al di sopra della soglia di sopravvivenza e si estinsero circa 40mila anni fa.

Un gruppo di ricerca italiano e giapponese ha identificato le prime prove dell’utilizzo in Europa, da parte dell’uomo moderno, di proiettili scagliati con armi da getto (propulsore o arco), risalenti a 45mila-40mila anni fa. La ricerca, pubblicata su Nature Ecology & Evolution (titolo dell’articolo: The earliest evidence for mechanically delivered projectile weapons in Europe), la rivista di settore tra le più prestigiose del mondo che vanta nell’uscita di ottobre la copertina realizzata dall’antropologo stefano Ricci Cortili dell’Università di Siena, retrodata di circa 20mila anni la comparsa delle prime armi da getto nel continente europeo. Tecnologie come quelle del propulsore e dell’arco permettevano all’uomo moderno di ottenere maggiore successo nella caccia rispetto ai Neandertaliani. 

Il team di ricerca include 17 scienziati italiani e giapponesi, coordinati dagli archeologi Katsuhiro Sano (Center for Northeast Asian Studies, Tohoku University) e Adriana Moroni (Department of Environment, Earth and Physical Sciences, University of Siena), e dal paleoantropologo Stefano Benazzi (Department of Cultural Heritage, University of Bologna),che hanno operato d’intesa con la Soprintendenza ABAP per le province di Brindisi, Lecce e Taranto. Lo studio ha riguardato 146 pezzi a dorso arcuato, le cosiddette semilune, rinvenuti alla Grotta del Cavallo (Nardò, Lecce), in livelli attribuiti all’Uluzziano, la prima cultura dell’uomo moderno in Europa.  “Pezzi simili sono presenti, fra 60mila e 50mila anni fa, in Sudafrica e in Africa orientale, sebbene non si conosca ad oggi alcuna evidenza archeologica che indichi un tragitto dall’Africa all’Europa. Per meglio comprendere le differenze tra l’Uluzziano e le precedenti tradizioni litiche, nonché il significato della comparsa di questa nuova cultura in Europa, è stato determinante identificare la funzione delle semilune”, sostiene Adriana Moroni. Tutti i reperti esaminati per la ricerca appartengono all’Università di Siena ed in pratica sono state effettuate analisi balistiche della preistoria. Questi pezzi sono stati analizzati infatti a livello macroscopico e microscopico con un microscopio digitale Hirox e i risultati sono stati comparati con le tracce d’uso ottenute sperimentalmente. Grazie a queste analisi sulle semilune sono state identificate fratture ed altre microscopiche tracce da impatto, diagnostiche di un uso di questi oggetti in armi da caccia. “Le fratture da impatto sono simili a quelle ottenute su campioni sperimentali immanicati su un’asta lignea e scagliati con un propulsore o un arco, ma differiscono in modo significativo da quelle osservate su campioni utilizzati su lance o giavellotti lanciati a mano”, dice Katsuhiro Sano. “Gli uomini moderni che migrarono in Europa erano equipaggiati con armi quali il propulsore o l’arco e le frecce, la cui più alta energia d’impatto offriva nella caccia, e quindi a livello di sussistenza, un vantaggio sui Neandertaliani”, conclude Sano.

Analisi di spettroscopia FTIR dei residui presenti su alcune semilune hanno dimostrato inoltre che questi elementi venivano fissati all’asta del giavellotto o della freccia usando adesivi complessi, composti di ocra, resina e cera d’api. “Il confronto con diversi campioni di suolo provenienti da Grotta del Cavallo ha permesso di escludere la presenza di contaminanti organici nel terreno di scavo, e ha confermato l’impiego di ocra formata da un misto di silicati e ossidi di ferro” dice Chiaramaria Stani (Elettra-Sincrotrone Trieste).

“Poiché un’avanzata strategia di caccia è direttamente correlata ad un vantaggio competitivo, questo studio ha offerto un importante indizio per comprendere le ragioni della sostituzione dei Neandertaliani da parte dell’uomo moderno” dice Stefano Benazzi, Principal Investigator del progetto finalizzato alla ricostruzione dei tempi e dei modi con cui avvennero l’estinzione dei Neandertaliani e l’arrivo dell’ uomo moderno in Europa, nonché dei processi bioculturali che favorirono il successo adattativo di quest’ ultimo.


Un cacciatore con arco e frecce. Le analisi condotte sulle semilune di Grotta del Cavallo (Nardò, Lecce), datate tra 45mila e 40mila anni fa, indicano che l’uomo moderno immanicava questi piccoli oggetti in pietra su un’asta lignea che poi scagliava meccanicamente con un arco o un propulsore. Questa è l’immagine realizzata da Stefano Ricci dell’Università di Siena. Il nostro Ateneo vanta così la prima copertina su Nature. E c’è una curiosità: lo sfondo dell’immagine altro non è che quello del dipartimento di Scienze della Terra al Laterino.