Foibe: così lontane, così vicine da Siena

Il 10 febbraio è il “Giorno del Ricordo”, in memoria delle vittime delle foibe. Anche quattro senesi trovarono presumibilmente la morte nei pozzi carsici

“La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Recita così il primo comma del primo articolo della Legge n°92 del 30 marzo 2004.

Le foibe, termine usato in Venezia Giulia, sono  grandi buchi carsici che vennero usati dai partigiani jugoslavi, tra la fine della seconda guerra mondiale e l’immediato dopoguerra, per gettarvi, vivi o morti, italiani od oppositori al nascente potere del maresciallo Tito. Durante l’”infoibamento” le vittime venivano legate mani e piedi tra loro con del fil di ferro, in modo che la caduta nel pozzo di un condannato comportasse la fine degli altri.

Le rappresaglie dei partigiani titini arrivarono dopo vent’anni di tentativi di assimilazione forzata delle minoranze slave presenti nei territori italiani durante il fascismo e dopo l’occupazione militare della Jugoslavia da parte delle forze dell’Asse.

Andando al di là di polemiche politiche e storiografiche, spesso frutto di un triste gioco delle parti, ci interessa ricordare come, tra le presumibili 6.000- 7.000 vittime delle foibe, ci siano state anche quattro senesi.

Grazie alla scoperta fatta dal giornalista Andrea Bianchi Sugarelli, che ne ha scritto sul Corriere di Siena del 10 febbraio 2013, sappiamo che Isolina Micheli in Turchi, Pompilio Paganini, Mario Fanfani e Agostino Saletti sono da aggiungere, probabilmente, al conto delle rappresaglie titine.

Isolina, nata a Torrita di Siena nel 1887, venne presa e deportata  l’8 gennaio 1944. I resti del corpo, che non sono mai stati ritrovati – destino comune a quasi tutti gli infoibati-, si ritiene che possano giacere sul fondo del pozzo carsico di Gargaro, posto a due chilometri dell’omonimo centro.

Il ferroviere di Siena Pompilio Paganini, 46enne, fu arrestato il 4 maggio 1945  a Fiume, dopo la presa della città da parte delle truppe titine. La sua salma potrebbe essere nella foiba di Scadaicina, in quella di Obrovo o in quella di Casserova.

Il 18 maggio successivo venne il turno di Mario Fanfani, residente a Cormons – un paese vicino Gorizia -, ma nato a Montepulciano il 16 ottobre 1924. Fu arrestato, ma poi scomparve nel nulla. In un articolo pubblicato sul giornale Il Piccolo di Trieste del 24 novembre 1955 si dice: “scomparso in località ignota del Friuli. È stata dichiarata la morte presunta come avvenuta il 31 maggio 1945”.

L’ultimo senese a esser preso fu Agostino Saletti, nato ad Asciano il 7 marzo 1903. Ferroviere, venne arrestato a Gorizia il 23 maggio 1945 e tradotto a Idria, un paese attualmente appartenente alla Slovenia. In settembre fu deportato nel campo di concentramento di San Vito di Lubiana. Da qui in poi se ne perdono le tracce. Visto che la foiba più vicina era quella di Cocevie, si ritiene probabile che sia stato gettato lì. A differenza degli altri tre casi, per quello del Saletti c’è stato un imputato, la cui posizione è stata poi archiviata.

Purtroppo dietro la grande Storia, quella alimentata dai sogni di gloria di pochi, ci sono le storie, quelle delle persone comuni, di chi piange e di chi si trova a essere, a turno, vittima o carnefice di un odio costruito spesso nell’interesse di altri.

Emilio Mariotti