A Lunedìlibri presentato “Lo schifo” di Stefano Massini

Brillante percorso professionale quello di Stefano Massini, autore teatrale fiorentino, già vincitore del Premio Tondelli, e scrittore di successo. Il suo ultimo lavoro, Lo schifo.Omicidio non casuale di Ilaria Alpi nella nostra ventunesima regione (Promo Music Corvino Meda Editore) è stato al centro dell’appuntamento di Lunedìlibri, tenutosi ieri sera nella Biblioteca degli Intronati.

Presente anche Maria Grazia Gregori, critica teatrale, che ha sottoposto alcune domande all’autore, aprendo un confronto sulle opere, le soluzioni stilistiche, la scelta delle sceneggiature: <<I suoi testi fanno riferimento a personaggi importanti realmente vissuti, ma non sono né biografie, né, tanto meno, agiografie, o chanson de geste. Piuttosto, attraverso una forma originale di realismo poetico, Massini intende restituire l’integrità dell’ambiente e della storia, per trasmetterli al pubblico come flussi di coscienza o voci dall’aldilà, senza tradimenti>>.

Se le prime opere di successo, “L’odore assordante del bianco” e “Donna non educabile”, possono essere considerati come tributi, rispettivamente, al genio di Van Gogh e al sacrificio della giornalista russa Anna Politvoskaja, con questa ulteriore produzione in ambito di teatro civile, Massini rende omaggio a Ilaria Alpi, corrispondente del Tg3, e al suo operatore Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio il 20 marzo 1994 da un commando di persone armate, in un Paese sull’orlo della guerra civile tra il governo centrale di Siad Barre e i separatisti islamici della regione settentrionale del Puntland.

Il testo, che ha già debuttato sulla scena del Teatro Metastasio di Prato nello scorso mese di gennaio, con l’interpretazione di Lucia Morlacchi, propone un percorso di conoscenza, narrato in prima persona dalla prospettiva della giornalista, tra gli scenari e i personaggi che hanno scandito le tappe del suo terzo ed ultimo viaggio in Somalia.

<<La mia è una rappresentazione visionaria, emozionale – ha spiegato Massini – che permette ad una Ilaria invecchiata di parlare oggi, a 18 anni dalla sua morte, e trasmettere al pubblico una forte carica emotiva e intellettuale, ma senza derive didattiche o didascaliche. Una poetica minimalista, ricca di particolari e dettagli, che ricostruisce il suo percorso investigativo ed evoca quanto più realisticamente un immaginario di incontri con personaggi tanto pericolosi, quanto caricaturali>>.

Un titolo affatto casuale, che gioca sull’anagramma tra lo “schifo” di un contesto politico-istituzionale degradato, camuffato sotto l’egida umanitaria della cooperazione internazionale, in cui la fanno da padrone faccendieri, signori della guerra e trafficanti, e il nome “Shifco”, riferibile alla società cui il Governo italiano avrebbe donato una flotta di pescherecci, ufficialmente per trasportare cibo e medicine, ma destinati invece, secondo teoremi che vanno oltre il fiuto della Alpi e arrivano fino ai nostri giorni, al trasporto illegale di armi e rifiuti tossici sulla rotta Europa–Corno d’Africa.

<<Oltre a omaggiare il coraggio ed il lavoro di Ilaria e Miran – ha aggiunto Massini – e pur senza cadere in retoriche anti-patriottiche, ho elaborato questa sceneggiatura proprio nell’anno del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, per offrire un contributo, con questa storia paradigmatica, sul nostro passato coloniale, spesso rimosso. La Somalia si percepisce come la ventunesima regione italiana, come afferma Abdullah Mussa Bogor, il Sultano di Bosaso laureatosi a Padova, l’ultimo dei personaggi incontrati dalla Alpi prima del tragico atto finale, il più importante per la consistenza delle sue confessioni>>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Walter Veltroni, nella sua prefazione al libro, connota di significati politici la vicenda, collocandola in quel “grumo grigio che nasconde la verità e che ha reso la nostra democrazia una democrazia incompiuta. Da Piazza della Loggia a Ustica, dalla stazione di Bologna al delitto Moro, dall’omicidio Dalla Chiesa a quelli di Falcone e Borsellino, da via dei Georgofili alla pax mafiosa degli ultimi anni”. Con un filo rosso che la lega più direttamente al delitto Rostagno, alla tragedia del Moby Prince e all’omicidio dell’ufficiale del SISMI, Vincenzo Li Causi, avvenuto proprio a Mogadiscio alla fine del 1993.

Molti gli interrogativi che emergono, attraverso la penna di Massini, dai pensieri postumi di Ilaria: perché una società italiana, operante nel settore delle costruzioni, si occupa della protezione dei connazionali in Somalia? Com’è possibile che, in un Paese dove si salta in aria un giorno sì e l’altro pure, agli uomini, ai mezzi e alle strutture di questa società non accada mai niente? Per quale motivo, oltre trecento uomini armati, con mitra e kalashnikov, ne sorvegliano notte e giorno i magazzini di cemento e calcestruzzo?

Molte altre domande sono ancora in attesa di una verità processuale: perché il corpo della giornalista è stato riesumato due volte? Come è possibile che il certificato di morte, redatto subito dopo l’agguato, sia scomparso per anni, per poi essere ritrovato successivamente nella casa di Giorgio Comerio, latitante affiliato alla ‘ndrangheta? Come può Carlo Taormina, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta, sostenere che Ilaria e Miran non stavano conducendo alcuna indagine e che si trovavano a Bosaso solo per trascorrere una vacanza al mare?

In attesa che dal “grumo grigio” della democrazia si alzi quel velo che oscura ancora molti capitoli della storia italiana, il testo e la messa in scena de Lo schifo aiutano a non dimenticare e a combattere per l’affermazione di verità e giustizia, come ci ha insegnato Ilaria, al pari di Anna Politvoskaja e tanti altri giornalisti di tutto il mondo.