Buon Capodanno… sì, ma quale?

Dopo Natale. Prosegue la Grande Festa di fine anno e prosegue l’interessante viaggio a cura del professor Duccio Balestracci alla scoperta del significato e dell’origine delle feste che per noi sono tradizionali: oggi parliamo del Capodanno

Bene, Natale l’avete scollettato. La bilancia pesa-persone avete fatto bene a inguattarla in bagno dietro il cesto della biancheria sporca: la tirerete fuori dopo il 6 di gennaio per farvi venire i sensi di colpa e guardare atterriti quella ruotina con i numerini che non si ferma se non davanti alla certificazione della vostra disfatta e allo sputtanamento per quanto vi siete mangiati e bevuti durante la Grande Festa.

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Ancora, però, fregatevene: siete nel bel mezzo del tempo magico, potrete ancora, se vi affacciate la sera, vedere le lucine intermittenti del retro-slitta di Babbo Natale che sta tornando a casa volando verso nord; soprattutto, potete, se ascoltate con attenzione, sentire gli animali che, nella notte, parlano, un prodigio che affonda nell’antichità: ve li ricordate i cavalli di Achille che acquistano la parola per profetizzargli la morte? In questi giorni, dice la tradizione folklorica, bisogna cibarli bene, sennò vi danno di pidocchiosi e di stronzi. Potete ancora, se avete fortuna, assistere a prodigi (che so? Il salvataggio del Monte, per dirne una… Troppo improbabile? Evvabeh: imbattervi in un ircocervo; questa è più facile); comunque siete ancora in pieno “tempus sacer”: assaporatevelo e prendete coscienza di un nuovo appuntamento importante. Il cambio di anno.

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Il 1° gennaio, ormai, è adottato ovunque come data di inizio del nuovo anno, anche dove il calendario tradizionale continua a convivere con quello globalizzato. Per un musulmano, ad esempio, il Capodanno (primo giorno del mese di Muharram) non coincide assolutamente con quello cristiano. Dal momento che, in quella cultura, il calcolo dei mesi è su base lunare e non solare (si fa male a dimenticare che la parola “mese” viene dal lemma indoeuropeo *mens, che non indica il ciclo del sole, bensì quello della luna) il Capodanno islamico non ha una data fissa che possa corrispondere a qualcuna del nostro calendario.
Per gli ebrei, a loro volta, i momenti clou del calendario sono, invece, almeno quattro, perché in quella religione si celebrano come inizi di altrettanti cicli annuali la Pesach (che ricorda la libertà del popolo di Israele), Shavuot (che potrebbe essere tradotto come festa delle primizie, un nome che rinvia ai primi raccolti del nuovo anno, e che segna anche il momento in cui, secondo la tradizione, furono consegnati al popolo ebraico la Torah e i Dieci Comandamenti: cade fra metà maggio e metà giugno), Tu b’Shvat (una specie di inizio dell’anno fiscale, e infatti viene considerata una festa “minore” rispetto alle altre, tanto che si può anche lavorare in questo giorno) e Rosh haShanah, il Capodanno vero e proprio (almeno nell’accezione che noi diamo a questo termine) poiché è da questo giorno che cambia il numero dell’anno. Segna l’inizio del mese di Tishri, 162 giorni dopo il primo giorno della Pesach e quindi è un Capodanno “mobile” che si colloca fra settembre e i primi di ottobre.
A ben guardare, e solo con un rapidissimo excursus fra culture e civiltà diverse dalla nostra, ci si rende conto che di Capodanno vagabondi, nel corso del calendario, ce n’è un bel numero: il Capodanno cinese (diffuso anche in Giappone, Corea, Mongolia, Nepal, Bhutan) corrisponde al novilunio che cade fra il 21 gennaio e il 19 febbraio; i tibetani cambiano l’anno fra gennaio e marzo; nell’area Indocinese il Capodanno (Songkran) è solare e cade sempre a metà aprile, ma non è fisso, perché si calcola in base alla posizione del Sole rispetto agli altri astri e pianeti e varia fra il 13 e il 15 di quel mese.
Molti dei Capodanni fissi, infine, hanno un ancoraggio solstiziale che ne fa altrettante feste celebrate in momenti diversi rispetto a quanto facciamo noi: il Norouz afgano e persiano coincide con l’equinozio di primavera; i popoli autoctoni dal Cile alla Patagonia (i Mapuche), oppure gli Inca, festeggiano come inizio del nuovo ciclo il solstizio d’inverno (ma quelli dell’emisfero meridionale, per i quali l’inverno comincia a giugno, lo celebrano il 21 di quel mese). Gli etiopi, invece, fanno cominciare l’anno con la fine della stagione delle piogge e con il giorno in cui la regina di Saba tornò nelle sue terre dopo aver fatto visita a Salomone (circa mille anni prima di Cristo), fatto avvenuto, secondo la tradizione, in un giorno equivalente al nostro 11 settembre (il 12 negli anni bisestili).

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Molto, molto meglio il nostro Capodanno “occidentale”, parecchio più chiaro e soprattutto ben identificabile, da sempre, nella data del 1° gennaio. Semplice.
Eh! Hai voglia!
Nella cultura celtica, per dire, l’inizio dell’anno si computa dal 1° novembre, con tutto l’apparato mitico e folklorico legato al ciclo stagionale, al ritorno dei morti e a tutto quel che ha contribuito a creare la già ricordata festa di Halloween. La data coincide con il quarantesimo giorno dopo l’equinozio d’autunno, e vale la pena di notare che tutte le tappe più importanti del calendario celtico sono poste a 40 giorni di distanza da solstizi e equinozi: il numero scandisce, evidentemente, un tempo di passaggio comune a più di una cultura, la nostra compresa, per la quale il termine dei 40 giorni è considerato un periodo penitenziale/purificatore prima di un grande evento festivo. Possiamo ricordare che Cristo trascorre 40 giorni nel deserto dopo il Battesimo (e il numero è a sua volta un ancoraggio ai 40 anni che il popolo di Israele aveva trascorso in esilio prima di raggiungere la terra promessa, i quali non a caso sono quelli in cui esso aveva ricevuto la Legge e costruito la sua identità); ci sono 40 giorni fra le Ceneri e la Pasqua; ci sono 40 giorni fra Pasqua e l’Ascensione (esistono varie spiegazioni a questo computo con base quaranta: tutte serie, tutte ben elaborate concettualmente da studiosi serissimi, e nemmeno una che convinca fino in fondo. Mica vi offendete se questo punto lo saltiamo?).
A parte i Celti dei quali si è detto, il Capodanno, da noi, è il 1° gennaio, no? Sì, ma solo dopo che Giulio Cesare, nel 46 a.C., lo ebbe spostato al primo giorno del primo mese dell’anno (quello dedicato a Giano) retrocedendolo dal Capodanno fissato al 1° di marzo (inizio della stagione primaverile) dal calendario elaborato, secondo Tito Livio, dal re romano Numa Pompilio e scandito su 12 mesi di lunghezza variabile da 29 a 31 giorni.
La cristianizzazione complica tutto. Il calendario cristiano, sia ben chiaro, non si forma prima del IV secolo e si porta dietro l’eredità ebraica (del resto, a lungo i cristiani vengono percepiti come una “setta” ebraica e non come una nuova religione): la data chiave dell’anno è la Pasqua e il concilio di Nicea (325: quello che stabilisce che la domenica è un giorno festivo da dedicare solo alla preghiera) decreta anche che la Pasqua cristiana cade la domenica dopo il plenilunio successivo all’equinozio di primavera (quella giudaica invece coincide con il primo giorno di luna piena dopo l’equinozio).
La crisi dell’istituzione statale imperiale romana, però, destruttura anche ogni elaborazione condivisa in questo campo, e il Cristianesimo ci mette del suo per complicare le cose, perché, all’interno di questa cultura, da qualche parte si computa l’anno a partire dal Natale , in altre a partire dalla Pasqua e in altri casi ancora, dal 25 marzo, giorno dell’Annunciazione, in cui il Cristo si incarna uomo e, quindi, con l’inizio del suo ciclo biologico segna anche il rinnovarsi del ciclo biologico del mondo.
Il risultato è quello di un calendario cristiano, a dir poco, scompigliato. Faccio solo alcuni esempi perché a volerli seguire tutti c’è da perderci la testa. Fino al 1567 il Capodanno, in Francia, è festeggiato per Pasqua, ma in certe zone di questo stesso paese lo si computa da Natale e in altre dal 25 marzo. E mica basta! A lungo, almeno nell’Alto Medioevo, in queste terre si usa anche un calendario che fa iniziare l’anno il 1° marzo (esattamente come a Venezia, fino al 1797).
In Spagna, fino al primo Seicento, si cambia anno il 25 dicembre. Nel mondo bizantino (e in quello italo-bizantino) Capodanno è il 1° settembre, data, secondo la tradizione, della Creazione del mondo, avvenuta nell’anno 5509 a.C. (in Sardegna settembre lo chiamano ancora Caputanni).
Nell’Italia comunale va per la maggiore la data del 25 marzo. Sicché se trovate un documento originale, poniamo, senese il quale dice che un avvenimento è successo il 25 febbraio del 1345, la data va corretta, secondo lo stile moderno, in 1346. Purché non sia successo a Pisa, sennò cambia tutto. In questa città, infatti, si usa, sì, la data del 25 marzo, ma in modo diverso dal resto del mondo. Infatti, per l’Annunciazione, secondo lo stile pisano, non abbiamo un riallineamento al calendario giuliano, ma al contrario si computa un anno in più. Perché? Perché lo stile “ab incarnazione” correntemente usato, fa INIZIARE l’anno in quel giorno, mentre a Pisa lo si fa FINIRE e quindi i giorni successivi hanno una indicazione di anno maggiorata di un’unità.
Complesso eh! Certo, tant’è vero che nel 1691 papa Innocenzo XII mette mano a questo birbonaio e decreta che l’anno comincia il 1° gennaio (data del calendario giuliano) in coincidenza della Circoncisione di Gesù. La data, adesso è sacralizzata e cristianizzata: secondo legge ebraica, infatti, la circoncisione deve avvenire 8 giorni dopo la nascita e quindi, se nasci il 25 dicembre, la cerimonia avviene di necessità il primo gennaio.
Tutto risolto? Ma per niente! I calendari tradizionali coesistono e resistono impavidi fino alla piena età moderna. In Toscana, per dire, ci vorrà un provvedimento del governo lorenese perché, nel 1749, peraltro in mezzo a inevitabili mugugni e scontenti, si abolisca questa babilonia e si adotti il computo moderno del tempo.
Bene, finalmente siete riapprodati alla conosciuta e tranquillizzante kermesse di fine anno. Ora non si buttano più piatti e oggetti vecchi dalla finestra (a simboleggiare il vecchio che muore e il nuovo che nasce), ma si fa ugualmente un gran casino: in Veneto, con il Capodanno a marzo, lo si faceva per scacciare l’inverno; altrove, ancora lo si fa in ossequio alla inconsapevole regola folklorica che occorre creare il caos per far morire il vecchio ordine e ricreare quello nuovo. Sicché, divertitevi: non fate botti che spaventate gli animalini, ma per il resto fate la cagnara che volete. Se credete, potete anche addobbarvi in modo buffo, tanto non c’è più Sant’Eligio (perché è morto fra il 659 e il 660) che se vi avesse visto fare una cosa del genere vi avrebbe trattato da coglioni ammonendovi che “a Capodanno non si facciano buffonate come andare in giro mascherati da animali, e non si facciano scherzi stupidi e non si passi l’intera notte a tavola a gozzovigliare, a scambiarsi regali e a bere smodatamente”. Voi fate come se non avesse detto niente.

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Magari, poi, aspettate che sorga il sole del 1° gennaio e andate di corsa a prendere, alla prima fontana o al primo pozzo, una brocca d’acqua. E’ acqua santificata e vi protegge dal male. Se, invece, la mattina del primo siete a gallina perché gliele avete date secche non preoccupatevi. La stessa acqua la potete attingere la mattina della Befana. Sì, potreste averlo fatto, giustamente, anche la mattina di Natale, ma magari non ci avete pensato. E, tanto, lo rifarete la mattina di San Giovanni. Cosa c’entra questo? Se capita ne riparleremo.

Per il momento BUON CAPODANNO! FELICE ANNO NUOVO!

Duccio Balestracci
Ps- …e non fate botti, che se mi spaventate i miei gatti vi vengo a cercare uno a uno.

(regalino di fine anno: una festa in ogni parte del mondo e in ogni epoca storica… cercate Wally nella foto di copertina, chissà quale caodanno festeggia?)