Quel palazzo di Siena che sembra l’Olimpo

A Siena ci sono talmente tanti tesori che è facile passarci davanti senza accorgersene. Un esempio può essere quello di Palazzo Venturi-Gallerani in via delle Cerchia. Dall’esterno sembra uno dei molti palazzi storici della città. Solo entrando nel portone e salendo al piano della sede della Fondazione Musei Senesi è possibile ammirare la bellezza degli affreschi a tema storico-mitologico che sono conservati al suo interno.

Una tavola imbandita e anfore di vino che affiancano cesti d’uva su una tovaglia bianca. Intorno giovani donne vestite con pepli sulle tonalità dell’azzurro e colori pastello che volteggiano quasi sospese e si muovono sinuosamente al ritmo del suono della cetra, e poi alloro, corone d’alloro ovunque. Dai larghi finestroni entra una luce calda e accentua le tonalità cangianti, magistralmente usate per creare un ambiente gioioso e soffuso al contempo. Sembra l’ambientazione di uno dei banchetti della Grecia antica, ma non lo è: è la sala del Baccanale. L’intero palazzo è caratterizzato da un’aura mitologica che è figlia della ristrutturazione neoclassica a cui fu sottoposto nel settecento.

Quegli affreschi dipinti su cera per garantirne la conservazione sono talmente belli da sembrare vivi e allora, mentre quelle giovani continuano a muoversi con leggiadria, l’aedo racconta i mitici episodi dell’Iliade: un Achille folle di dolore per la perdita dell’amico Patroclo sfoga tutta la sua rabbia su Ettore e trascina il suo cadavere intorno alle mura di Troia, mentre i troiani, inermi, assistono alla scena e successivamente raccolgono quel corpo per poterlo piangere. Ilio è distrutta ed è svuotata di tutto, compreso il suo eroe, più valoroso ed ad osservare la sua fine non restano che quattro cavalli.

Il rumore degli zoccoli sembra prendere vita e portarsi avanti nella storia, come se i cavalli fossero macchine del tempo. I valorosi destrieri vengono portati a sfidarsi con Annibale e con gli elefanti in un mondo che ancora non aveva conosciuto Roma, ma che l’avrebbe scoperta dopo in tutta la sua grandezza e maestosità rimanendone spiazzato, così come ora Scipione e i suoi soldati lo erano davanti a quei mammiferi mastodontici.

Durante le Guerre Puniche l’esercito romano si affidò incondizionatamente agli dei e al loro voleri, gli stessi dei che secondo Omero avevano avuto un ruolo determinante e decisivo nelle sorti degli Achei a Troia: ecco perché l’ultima stanza, un ambiente piccolo e raccolto, raccoglie l’essenza della cultura greca e romana e quindi neoclassica riproponendo, in un soffitto dal blu terso che richiama il cielo, le effigi di tutti gli abitanti del Monte Olimpo. Le loro immagini sono disposte in sequenza, quasi in cerchio , e al centro del soffitto campeggiano le figure di Zeus o Giove e di Athena o Minerva che dir si voglia, rispettivamente il padre di tutti gli dei e la figlia prediletta dea dell’intelligenza, del genio.

Anche qui, come in ogni centimetro del palazzo, si respira il profumo del culto neoclassico per la bellezza e per l’arte come sua massima espressione, l’amore per il mito e per l’epica.