L’arte medievale contemporanea di Marco Caratelli

Intervista a Marco Caratelli, giraffino classe 1979, che nella sua bottega di via Monna Agnese realizza personali omaggi pittorici all’arte senese del duecento e del trecento. Ad aprile ha esposto in una galleria di New York.

Marco Caratelli vive il passato nella contemporaneità. Armato di pennello, conoscenza e tanta volontà si adopera per ricreare e far rivivere l’arte senese del duecento e del trecento. Nella sua bottega in via Monna Agnese, messa proprio sotto a quel “miraggio” di grandezza che è il Facciatone del Duomo nuovo, dipinge i propri personalissimi omaggi agli artisti che furono. Omaggi, sì, non copie. Marco sottolinea che nel suo riprendere certe tecniche usate nelle botteghe della Siena che fu, c’è il tentativo di far vivere i tempi di oggi a un determinato stile, poco frequentato dagli artisti contemporanei. Un’idea di passato, quindi, proiettata nel futuro. Questa impostazione stilistica del Caratelli, giraffino classe 1979, piace molto agli statunitensi e proprio per questo dall’8 aprile al 18 aprile Marco è andato negli U.S.A. per esporre in una galleria newyorkese. Siamo andati nel suo piccolo laboratorio per saperne di più.

Marco qual è la tua attività?
«Faccio riproduzioni, ma anche reinterpretazioni, di opere d’arte due-trecentesche. Lavoro nella stessa maniera di come si faceva nelle botteghe di allora. Uso i medesimi materiali, partendo dalla scelta del legno. Predispongo le tavole con gesso da doratori e colla di coniglio, proprio come veniva fatto al tempo. Il secondo passaggio che faccio è quello di preparare del bolo rosso d’Armenia, che è molto importante per la doratura. Questo bolo rosso sarebbe una specie di argilla, che conferisce alle dorature un tono molto caldo. E’ molto importante, inoltre, perché permette poi di realizzare una decorazione a mano con i punzoni o i bulini. Successivamente l’ultima fase è la stesura della tempera al rosso d’uovo. Questa si prepara mischiando il colore in polvere, il pigmento, con il tuorlo dell’uovo. Sono tutte cose naturali, inalterabili nel tempo. I lavori che escono dal mio laboratorio sono realizzati come venivano create le opere nelle botteghe senesi medievali».

I soggetti dei tuoi lavori sono ripresi da altre opere o sono tue rielaborazioni?
«Dipende dal cliente. Posso realizzare sia la copia di un originale, che la rielaborazione in chiave moderna di soggetti medievali».

I materiali che usi sono difficili da trovare?
«Non molto, si trova tutto abbastanza bene. Le uniche difficoltà ci sono per recuperare i bulini, visto che a Siena non si trovano. Fortunatamente ho un amico intagliatore che me ne ha fatto uno personale. Spesso l’attribuzione delle opere medievali è stata fatta attraverso il riconoscimento dei bulini impiegati. Ogni artista aveva il suo, quindi un autore era ed è riconoscibile per la modalità di realizzazione della decoratura delle aureole o della drappeggiatura dei vestiti».

Dove hai imparato?
«Ho fatto l’Istituto d’arte qui a Siena, poi mi sono laureato in Storia dell’arte. In seguito, lavorando in altre botteghe, ho perfezionato questa tecnica. Con il passare del tempo è aumentata la passione e adesso ha preso “campo”».

Ti senti uno che copia o uno che omaggia?
«Uno che omaggia, senza ombra di dubbio. Non mi sento uno che fa copie, le mie sono più reinterpretazioni di opere medievali».

Come ti rapporti all’arte contemporanea?
«Sono molto aperto, però ho bisogno, probabilmente per delle mancanze mie, di capire come l’artista contemporaneo arrivi a una determinata soluzione. Ho la necessità di comprendere, magari informandomi meglio sulla vita dell’autore, il percorso che ha seguito per giungere a una certa scelta».

Cosa invidi agli artisti di un tempo?
«Forse non invidio niente. Sono molto fortunato a vivere così vicino agli originali che hanno realizzato. Credo, però, di poter dare, con un po’ di modestia, un tocco diverso, una nuova vita, un “respiro” inedito a certe opere».

Nella storia di Siena ci sono stati altri artisti-artigiani, per esempio Joni, che hanno ripreso l’arte senese del duecento-trecento. Come ti rapporti con loro?
«Joni era un genio. Basti pensare a come si firmava, con la sigla PAICAP (Per Andare In Culo Al Prossimo, ndr). E’ stato un genio anche per come lavorava, riuscendo a spacciare le proprie opere come originali».

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E’ stata mai confusa una tua opera per un originale medievale?
«No, penso di no. E’ capitato che qualche turista, passato davanti alla bottega, mi abbia chiesto se stessi esponendo copie o originali, soprattutto per le biccherne. Gli altri lavori si vede che hanno un taglio un po’ più moderno».

Recentemente, dall’8 al 18 aprile, hai esposto a New York, in una galleria di Soho. Com’è andata?
«Il 90% dei clienti miei qui a Siena sono statunitensi, quindi ho deciso di provare questa esperienza in casa loro. C’è stato tutto un percorso di scelta e di contatto con le diverse gallerie, poi è arrivato il momento della mostra. Ad aprile sono andato là e devo dire che l’esposizione ha avuto un riscontro che non mi aspettavo. Ho venduto e ho notato una grande passione per le opere classiche. Probabilmente, mi sono fatto questa idea, loro hanno un gap talmente profondo sia per quanto riguarda la storia vera e propria che per quella artistica, che per loro il nuovo è quello che a noi “stucca”, perché lo abbiamo sempre sott’occhio. Ho venduto di più, per l’appunto, le mie interpretazioni di opere classiche che le soluzioni contemporanee. La mostra ha avuto un filo conduttore che dall’opera classica è arrivato alla decomposizione di certi dettagli, creando, così, situazioni più moderne. Questi particolari sono stati tratti da opere duecentesche-trecentesche».

Hai altri progetti all’estero?
«Non so, sono tornato da poco. Sicuramente non la voglio finire qua. Il mercato là si muove sicuramente di più».

Fra gli italiani, invece, chi sono i più interessati ai tuoi lavori?
«Qui a Siena non è facilissimo, anche se piano piano mi sto facendo conoscere. Però il mercato italiano è quello che è. I senesi vengono quando hanno da fare dei regali, ad esempio per i matrimoni. Raramente mi è capitato di vendere a persone realmente appassionate da quest’arte, interessate a mettere un “fondo oro” nella loro casa».

Da contradaiolo quale sei, ti piacerebbe dipingere il Palio?
«Certo, sarebbe una grande soddisfazione, come so che lo sarà per Tommaso Andreini che sta dipingendo il Cencio per luglio. Per un senese come me sarebbe bellissimo realizzare l’opera d’arte più importante per la città».

Emilio Mariotti