Ambrogio, il visionario. Perché andare a vedere la mostra al Santa Maria della Scala

Non sono un critico d’arte e non mi permetto di pensare che il mio giudizio sia universalmente valido. Ma so guardare oltre e sono particolarmente attratta da ciò che è bello.

Scontato, penserete voi. Eh no, proprio un bel niente. Il concetto del bello va oltre e non è mica solo una questione estetica. E dopo essere stata a vedere la mostra di Ambrogio Lorenzetti al Santa Maria della Scala posso dire che per me la mostra è bella, assolutamente bella. E’ potente, energica, dolcissima.

Ambrogio si apre agli occhi del visitatore senza mai porsi il problema di Duccio. Si fa un gran parlare della meravigliosa mostra che si inaugurò a Siena nel 2003, al Santa Maria della Scala e che fu un evento di enorme portata. Splendida, fuglente degli ori e dei colori forti cella scuola senese che faceva capo a Duccio di Buonisegna e poi, va ricordato, il complesso museale del Santa Maria della Scala stava piano piano facendo riaffiorare  i suoi tesori dopo aver ospitato, per secoli, sofferenza e accoglienza di tutt’altro tipo. La colossale mostra di Duccio vedeva la scoperta del ciclo di affreschi sotto la cripta del Duomo e per la prima volta tutti i senesi e tutto il grande pubblico, anche internazionale, potevano conoscere luoghi, storia, arte che per troppo tempo erano rimasti nascosti.

Sono passati quasi 15 anni da quel trionfo e il complesso museale funziona a pieno ritmo (per fortuna!) e valorizza giorno dopo giorno la cultura senese lavorando su eventi e accoglienza turistica.

Ambrogio arriva dunque nel momento in cui il grande pubblico può fruire quotidianamente dell’arte e della cultura e può farlo quando vuole, soprattutto chi ha la fortuna di vivere in un territorio come il nostro che trasuda bellezza artistica e architettonica in ogni più piccolo angolo.

Ambrogio arriva e si pone come un punto di rottura con il passato: non solo fondi oro ma colori, fino alla ricerca della naturalezza, ai cieli azzurri di una “Redenzione” tutta umana che ricorda un’altra allegoria, quella del Buon Governo che si trova a palazzo pubblico. Ambrogio esalta la Madonna, Cristo, le figure sacre ma prima di tutto il ruolo della madre e del figlio. Gli sguardi teneri e il Bambino che gioca con il velo oppure un Gesù che afferra il pettirosso per un’ala sotto lo sguardo più severo della Vergine Maria. Il dettaglio di un piccolo corallo al collo di Gesù e gli orecchini di Maria o il velo avvolto sul petto come imponeva anche la moda del periodo. Ambrogio regala umanità, la regala alla giovanissima Maria impaurita nel vedere l’Angelo che le annuncia la maternità, una paura subito coperta da un nuovo affresco perché forse la committenza non aveva accettato di buon grado l’idea di una raffigurazione così piena di umane paure. Ambrogio offre, nel meraviglioso ciclo di affreschi di Montesiepi, l’esaltazione delle figure femminili che già da molto tempo prima – a dispetto delle false credenze popolari – erano custodi di sapienza e filosofia. Quella Madonna, fateci caso, ha tre braccia. Un’altra correzione dell’artista. Cancellò lo scettro e il globo dalle mani della Vergine, i segni del potere sul mondo e dovette mettere un braccio a cingere il corpo del Bambino. Ai suoi piedi Eva che già richiama i volti di un prossimo Botticelli e Santa Marta che offre fiori mentre Maddalena si esprime intensa e forte offrendo il proprio cuore con un carico di femminilità che travalica il limite concesso.

Ambrogio, un visionario. Un artista nuovo che impone attraverso i dettagli della sua pittura la lettura completa degli eventi. Ricchissima la simbologia, naturalmente ma anche per chi non conoscesse questo aspetto sarà possibile comprendere le opere del Lorenzetti: basti fermarsi sulla vita di San Nicola per pensare allo scorrere di un fumetto che per immagini sa dire tutto.

Di lì, poi, basta scendere al piano terra e da palazzo Squarcialupi attraversare il Pellegrinaio per raggiungere la prima parte (la seconda è nella cripta) de La Bellezza Ferita.

 

La mostra, lo ricorderete, raccoglie le opere d’arte ‘ferite’ dal devastante terremoto di Norcia e dintorni, esattamente un anno fa. Grande il successo di pubblico, tanto più che proprio al restauro di queste opere saranno devoluti gran parte degli incassi della mostra. L’atmosfera richiama i rumori, la paura di quei giorni, la polvere, la pioggia, i detriti, l’umanità con la quale i vigili del fuoco hanno cercato di salvare queste opere. Ed è davvero difficile trattenere le lacrime di fronte a tutto questo. Eccezionalmente aperta fino al 5 novembre. Fateci un salto.

Regalarsi momenti così intensi in mezzo all’arte aiuta a far pace con la quotidianità e con la rabbia che tanta gente si porta dentro.

 

Katiuscia Vaselli