10 giugno 1940: scompare il tufo da Piazza ma restano le contrade e le tradizioni

Il 10 giugno 1940 l’Italia entra ufficialmente in guerra. E questa data non si può non ricordare, anno dopo anno. Alle ore 19 della sera precedente erano state estratte le Contrade che con Selva, Drago, Oca, Chiocciola, Tartuca, Bruco e Leocorno avrebbero disputato il Palio del 2 luglio. Uscirono Pantera, Lupa e Giraffa. Ma da questo 10 giugno tutta la storia cambiò, anche quella paliesca. Il 18 giugno il Podestà Luigi Socini Guelfi dirama il seguente comunicato: “Ritenuto che date le attuali straordinarie contingenze dello stato di guerra sia doveroso sospendere l’effettuazione delle tradizionali corse del Palio per tutta la durata delle ostilità, si delibera di sospendere l’effettuazione delle tradizionali corse del Palio finché perduri l’attuale stato di guerra”. Quando finalmente si rivide la terra in Piazza, fu davvero la fine di un incubo, ma erano passati 5 terribili anni.
E come se il tempo paliesco fosse rimasto sospeso il 2 luglio del 1945 si riprese con le stesse dieci contrade che dovevano disputare la carriera mai corsa del 1940. Sarà il Palio della Libertà, sarà il Palio vinto dalla Lupa con Lorenzo Provvedi, detto Renzino, su Mughetto.
Da allora solo quest’anno, in questo 2020 scandito da un nemico che non si vede, da questo covid-19, il tufo non è mai mancato all’appuntamento con la Piazza. Ma allora era diverso. Diverso perchè una guerra non è paragonabile, nè storicamente, nè per chi la vive (o l’ha vissuta) ad un’epidemia virale. Diverso perchè, pur nella tragedia, ai senesi della Seconda Guerra Mondiale rimase una parte importante del mondo paliesco, rimase la Contrada.
Le Contrade, infatti, indirizzano la loro attività interamente verso l’assistenza alle famiglie che hanno gli uomini al fronte, si fanno carico di tenere i contatti tra chi è rimasto a casa e chi non sa se a casa ci ritornerà. Questi mesi del 2020, con le Contrade chiuse (giustamente, per carità) è venuto a mancare quell’elemento di socialità che ci ha fatto sentire soli. Meno in pericolo di quel 1940 ma più soli. Ora, finalmente, limitate nelle attività, le Società sono riaperte e per chi ci ha messo piedi è stato come un ritorno alle origini, un senso di liberazione. E in quel 1940 si interrompe ogni attività ludica ma già nel 1941 le Contrade e lo stesso Magistrato si trovano in scontro in quanto chiedono, le prime di effettuare almeno il tradizionale giro di onoranze ai protettori, sia per non interrompere un’amata tradizione, sia, in maniera molto più pratica, per evitare che i contradaioli, per il mancato omaggio, smettano di pagare le somme del protettorato.
Il priore del Magistrato, Guido Chigi Saracini, si oppone fermamente ma Nicchio, Aquila e Istrice decidono, comunque, di fare il giro onorando i feriti di guerra, e con loro lo effettuano quasi tutte le Consorelle, tranne Leocorno e Bruco. Il Magistrato, di fronte a questa presa di posizione forte, nel 1942, regolamenta le onoranze: non più con le decine di alfieri e tamburini ma con un solo tamburo, quattro alfieri e il paggio maggiore i quali renderanno omaggio solo ai feriti di guerra ricoverati all’ospedale di Santa Maria della Scala; all’Asilo-Monumento che a Siena è stato eretto nel 1924 in ricordo e a onore dei caduti della Grande Guerra; alla chiesa di San Domenico dove, nella cripta, è stato costituito il sacrario con le tombe dei “martiri” fascisti. No, questo 2020 non è come quel 1940 (per fortuna), e chi venne prima di noi visse quei difficili anni e agì con orgoglio, coraggio e dignità. Questo dobbiamo riconoscerglielo. Perchè se le Contrade si uniscono possono (quasi) tutto, è che ogni tanto sembriamo scordarlo.
Maura Martellucci
Roberto Cresti