Il senese che disegna per gli americani

Spiegare tutto senza dire niente. E’ il difficile e fantasioso compito di un’illustrazione. La mostra WellSaid a Cacio&Pere prova a capirne i linguaggi grazie all’arte e il mestiere di Benedetto Cristofani, grafico e illustratore senese. Nel locale di Via dei Termini verranno esposti 20 dei suoi lavori più importanti, che trattano con sagacia, ironia e grazia argomenti difficili come la violenza familiare o le stragi parigine del 13 novembre scorso. Cristofani, partito dalle “lastre” come tanti di noi, ora lavora anche per alcuni magazine statunitensi. L’inaugurazione sarà sabato 23 alle 19.00 e la mostra durerà fino al 16 febbraio.

Come nasce la mostra WellSaid?

Viene tutto dal rapporto di conoscenza con i ragazzi di Cacio & Pere, specialmente con Niccolò Giallombardo. Durante i lavori di ristrutturazione del locale lui mi ha chiesto se volevo allestire una mostra con i miei lavori di illustrazione.

Quali opere ci saranno?

Ho lasciato la scelta a loro. Niccolò era particolarmente interessato a dei lavori che fossero riferiti a temi di attualità, come spesso faccio, e in mezzo a questi voleva anche altre cose più concettuali. Mi hanno mandato la loro lista di opere e su questa io ho fatto delle modifiche. In esposizione ce ne saranno venti. Ci sarà Cramps, realizzata per descrivere la “rinuncia” di papa Benedetto XVI in chiave un po’ ironica. Non mancherà nemmeno You know…that I’m no good ispirata alla figura di Amy Winehouse.

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Benedetto Cristofani

Le illustrazioni fatte su temi di attualità sono state realizzate per alcune riviste nordamericane. In questi casi devo completare con il mio lavoro l’articolo scritto da un giornlista. Giocando con il linguaggio grafico riesco a dare la mia visione sull’argomento, ma devo comunque essere legato al contenuto dell’autore del testo. Fondamentalmente completo l’articolo con delle emozioni visive.
Quando faccio lavori per me riprendo sempre fatti di cronaca, ad esempio Last night in Paris, creata a commento delle stragi del 13 novembre scorso.

In un caso del genere come concettualizzi l’opera? Quali elementi scegli e quali scarti?

Quello che faccio è giocare, cercando di creare illustrazione che abbiano un’anima. Ogni elemento deve essere emanazione della mia personalità, perché ognuno di questi fa comunicazione. Se in un’illustrazione io decido di far vestire un personaggio in un certo modo in un altro faccio una scelta comunicativa. E’ un’operazione intellettuale che mi piace. E’ un divertimento anche se lo fai a pagamento.

Nel caso di Last night in Paris sto parlando di una tragedia che di certo non avrebbe bisogno del mio commento. Sapevo, però, di dover dire la mia, visto il lavoro che faccio. Ho rappresentato una silhouette nella notte, usando uno stile più sintetico possibile. E’ un uomo, evidentemente un parigino, che ritorna in casa piangendo. La sua lacrima ha la forma della Torre Eiffel. Ho cercato di evitare elementi compassionevoli o eccessivamente drammatici, come il sangue. In queste situazioni si cerca di non scadere nella retorica o nel moralismo spicciolo. L’importante è usare dei codici di linguaggio che possano essere decifrabili da tutti, anche in Cina.

Perché usi sempre pochi elementi?

Preferisco che le mie illustrazioni siano più scarne possibile, affinché siano iconiche. Nel mondo dei copywriter si dice che la frase più completa è quella che si esprime senza parole. Se tu riesci a esprimere un concetto con pochi elementi eviti di essere criptico.

Quali tecniche utilizzi?

Tutto nasce dalla matita. Quando lavoro con dei clienti realizzo dei bozzetti. In altri casi, soprattuto con le opere più personali, mi metto a costruirle direttamente al computer.

Molti tuoi lavori, come hai detto prima, vengono pubblicati da riviste statunitensi, ad esempio Variety Magazine. In Italia c’è lo stesso interesse?

Ce n’è meno, perché il mercato è più difficile. I lavori vengono pagati meno e si riscuote dopo molto tempo. C’è meno sensibilità rispetto agli Stati Uniti, già in Francia ce n’è di più. Attualmente c’è un po’ più di giro, con le riviste che provano a dare spazio a illustratori nuovi. Prima ognuno aveva il proprio disegnatore e basta. Personalmente non ho ancora lavorato con magazine italiani anche per una scelta di percorso personale. All’estero, specialmente negli USA, tanti lavori li ho trovati tramite il mio agente sul posto. Ho poi il mio lavoro di art director in agenzia, quindi anche per questioni di tempo non sono stato a cercare I contatti giusti qui in Italia.

Hai mai pensato di creare una vera e propria storia con queste illustrazioni?

Mi è capitato di farne per dei video. Ad esempio per Ansaldo STS ho realizzato dei video corporate, destinati all’uso interno. La collaborazione è nata questa estate con tre video che raccontano flussi di lavoro e modalità operative che si rivolgono a dipendenti e azionisti. Visto che poi Ansaldo è stata acquistata da Hitachi a fine 2015, ne ho fatto uno più emozionale, con il passaggio di tutto il carico di storia dell’azienda italiana a un mondo giapponese.

Progetti futuri?

Si prosegue con la strada che ho intrapreso, cercando di partecipare sempre di più alle mostre internazionali di illustrazioni. In queste occasioni è possibile trovare clienti importanti. Nelle pubblicazioni di queste mostre, che poi girano tra gli art director, vengono selezionati I lavori considerati migliori. Quest’anno sono stato selezionato da 3×3 magazine, importante nel settore dell’illustrazione autoriale, da Communication Arts e poi, con mia grande gioia, dalla Society of Illustrators. Quest’ultima è l’istituzione più antica e più prestigiosa nel mondo dell’illustrazione. Fondata a New York a inizio ‘900, conta fra I propri membri originari gente come Mark Twain. Al primo tentativo mi hanno scelto due lavori, The Web BricklayersLovin’ it.

Emilio Mariotti