Religione e diritti umani: Zion Evrony a Siena

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“Religione e diritti umani: una riflessione storico-giuridica”: è questo il titolo di una relazione tenuta dal professor Giovanni Minnucci, ordinario di Storia del diritto medievale e moderno al Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali della nostra Università, in occasione dell’incontro su Israele, Ebraismo e Santa Sede organizzato, al Santa Maria della Scala dall’Associazione Italia-Israele, con l’intervento di Zion Evrony, Ambasciatore dello Stato di Israele nello Stato Vaticano e dell’Arcivescovo di Siena Antonio Buoncristiani.
Prendendo le mosse da una riflessione di La Pira, apparsa nel 1939, nella quale si interrogava sulla illegittimità della Guerra di aggressione in atto, Minnucci ha ricordato come gli appigli autoritativi cui il futuro sindaco di Firenze faceva riferimento erano costituiti dai Dottori della Chiesa e dai Classici del diritto internazionale. Dopo aver ripercorso il pensiero di alcuni di loro, fra i quali Francisco De Vitoria e Alberico Gentili che avevano espressamente ritenuto del tutto illegittima la guerra “per causa di religione”,  Minnucci si è addentrato nell’argomento della Relazione: tema complesso che è stato sviluppato facendo riferimento al pensiero di Tommaso d’Aquino, alla sua concezione del “bene comune”, all’insegnamento che si compendia nel principio secondo il quale le leggi positive debbono essere conformi alla ragione. Almeno per ciò che concerne la dottrina del diritto naturale il richiamo alla razionalità, che ne costituisce l’essenza, risulta straordinariamente moderno, essendo Tommaso il tramite per il quale il principio greco della legge come ragione è pervenuto all’uomo moderno. Nell’epoca immediatamente pre-bellica e bellica sembrava completamente scomparsa la “forza del diritto” per far posto al “diritto della forza”. Si stava assistendo, a livello mondiale, alla crisi profondissima di un ordo iuris condiviso, ed alla contestuale radicalizzazione della monodimensionalità del diritto statuale, alla sua autoreferenzialità, ad una totale mancanza di riferimento all’altro aspetto col quale il diritto, per esser tale, deve necessariamente correlarsi: il diritto naturale-razionale.

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A conflitto terminato la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo fu uno dei frutti concreti cui si giunse facendo riferimento proprio a questa concezione del diritto. Una Dichiarazione che contempla, all’articolo 18, la libertà di religione. Essa, nella sua interezza, ma in particolare relativamente a quest’ultimo tema, viene oggi spesso messa in discussione. Il professor Minnucci è stato molto chiaro nella condanna della irrazionalità degli integralismi e nell’auspicare la necessità di un dialogo fecondo fra le grandi religioni: soprattutto fra le tre grandi religioni monoteistiche. Ha concluso sostenendo che non possiamo vivere senza distinguere tra ciò che per noi assume una dimensione “relativa” e ciò che, al contrario, ha le caratteristiche dell’assolutezza: caratteristiche che sono proprie di diritti (cui corrispondono dei doveri) ormai definitivamente acquisiti ed irrinunciabili: la libertà di ogni credo religioso, e il diritto di cambiare religione; la parità sostanziale tra uomo e donna e la dignità di quest’ultima; così come ognuno di noi condannerebbe le discriminazioni basate sulla razza, o i Lager, i Gulag, la schiavitù, lo sfruttamento dei bambini, la tratta degli esseri umani.

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Sono principi irrinunciabili, sono verità esistenziali e morali, sono diritti naturali-razionali, derivanti da quei principi quali, ad esempio, la dignità della persona umana, assolutamente ed indiscutibilmente irrinunciabili. La soluzione a questa nuova sfida non può e non deve essere individuata in uno scontro di civiltà, ma nella dimostrazione che – pur non essendo privo storicamente di colpe talvolta gravissime – il percorso che la civiltà occidentale ha compiuto nel corso dei secoli si è sostanziato in un cammino nel quale, almeno in alcune delle sue fasi, diritto e teologia hanno saputo proficuamente dialogare, alla ricerca di quei principî cardine sui quali fondare il rapporto dialettico con la legislazione che, da quei principî, non dovrebbe mai prescindere. Solo nella condivisione della necessità di un rapporto fecondo tra fede e ragione, al quale non può non conseguire, un dialogo fra il diritto naturale-razionale e la dimensione civile-politica della legislazione, l’umanità potrà proseguire nella ricerca della giustizia.