Mostro di Firenze, l’avvocato di Vinci: “Non posso e non voglio dire quelle confessioni”

Rita Dedola è avvocato penalista, presidente dell’Ordine degli avvocati di Cagliari (la prima donna a diventarlo), già presidente della Camera Penale della Sardegna e membro della giunta dell’Unione Camere Penali italiane nel periodo di Chiusano, Pecorella e Frigo. Una breve presentazione è d’obbligo per un nome che in 50 anni di indagini, interventi, documentari, chiacchiere sul Mostro di Firenze, non è mai uscito fuori.

Il motivo è da ricercarsi nel fatto che l’avvocato Dedola, all’epoca del processo a Cagliari nei confronti di Salvatore Vinci, era giovanissima e percorreva i primi passi nel prestigioso studio legale Marongiu. Per essere precisi, nel 1988 lo studio legale cagliaritano difese – gratuitamente – Salvatore Vinci nel processo per l’omicidio della prima moglie Barbarina Steri (morta a Villacidro nel 1960) e in quello per atti di libidine e violenza nei confronti di un pastore.  E seguendo la linea che ci ha portato, in questi ultimi due anni, a ricostruire il racconto del Mostro di Firenze attraverso un nostro preciso punto di vista, abbiamo voluto incontrare l’avvocato Dedola per saperne di più della figura di Salvatore Vinci, una delle più interessanti, controverse e affascinanti della vicenda del Mostro.

Ma come arrivò Salvatore Vinci al migliore studio legale di Cagliari? E perché fu difeso gratuitamente?

“Vinci si era rivolto in prima battuta all’avvocato Giuseppe Nicola Madìa (figlio di Titta Maìa, ndr) di Roma ma essendo detenuto a Tempio Pausania, ed essendo Madìa molto amico di Marongiu ci fu una nomina congiunta. Io ero un giovane praticante, nel 1988 diventai procuratore legale e seguii il caso. Era interessante perché Vinci era conosciuto come il Mostro di Firenze, in Sardegna. E fu difeso gratuitamente perché l’avvocato Marongiu riteneva che per quanto fosse conosciuto come il mostro, Vinci fosse vittima di un’indagine ingiusta: era stato tenuto due anni in carcere per il presunto omicidio della moglie avvenuto quasi 30 anni prima. Aldo Marongiu era stato vittima, da cittadino e avvocato, di un clamoroso errore giudiziario (arrestato per omicidio e traffico di droga, poi assolto con formula piena, ndr) tanto che all’interno delle Ucpi definiamo Marongiu come il nostro ‘Enzo Tortora’. Marongiu credeva nel processo giusto e sosteneva un errore giudiziario quello che teneva in carcere Vinci per l’omicidio della prima moglie a che quella indagine non fosse così lineare. ‘Attraverso i mostri passano le operazioni liberticide’ diceva sempre. Ricordo che nella sua appassionata arringa, Marongiu precisò che non si poteva veicolare l’idea che Vinci fosse il mostro di Firenze facendola passare per la condanna dell’omicidio della prima moglie basata su indizi insussistenti”.

Allora perché il procuratore Lombardini rinviò a giudizio Vinci se, come dice lei, il processo era privo di fondamento?

” Posso malignare sul fatto che tra il pubblico ministero Vigna e Lombardini ci fosse un raccordo, avevano interessi comuni, entrambi indagavano sull’Anonima Sarda. Tanto che poi Lombardini non mollò la presa e una volta incassata l’assoluzione per l’omicidio della moglie, tentò di riacciuffare Salvatore con la storia della violenza al pastore”.

Salvatore Vinci e l’appellativo di Mostro di Firenze. Finché non si dirà è lui il mostro oppure non è lui, né lui riuscirà a togliersi questo appellativo né le vittime, i familiari ed eventualmente anche la famiglia Vinci riusciranno ad avere una risposta, una giustizia…

“No perché il caso non è stato mai risolto. E finché la giustizia non dà risposte, rimangono gli appellativi”.

 

Salvatore Vinci giovane e al momento del processo

In che modo, secondo lei, Salvatore Vinci era coinvolto nella vicenda del mostro di Firenze?
“A mio avviso era venuto in contatto con persone che sapevano o avevano visto qualcosa, aveva contatti con un mondo ‘sommerso’ che aveva a che fare con relazioni e ambienti sessuali particolari”.

Come collega dunque le vicende del Mostro di Firenze alle ipotesi che negli anni sono diventate tante e diverse, dalle messe nere alle serate di sesso estremo, fino a medici e mandanti?
“Mah, i collegamenti nascono dagli aspetti sessualmente perversi che in qualche modo accomunano queste vicende. Altro però è dare un volto e un nome ai responsabili”.

Nei tanti racconti che abbiamo raccolto, si parla spesso del fatto che Salvatore Vinci aveva la capacità di dialogare e avere rapporti con tutti, anche con persone dell’alta società che si interessavano a lui.  Lei crede che avesse rapporti sociali con l’alta borghesia fiorentina pur essendo di estrazione umile?
“Si lo credo perché ne ho avuto riscontro durante il periodo in cui era detenuto, ma non posso dire altro”.
Quando ha visto l’ultima volta e in quale contesto Salvatore Vinci?
“Non ricordo precisamente l’anno, ma era venuto nella studio del Corso Vittorio Emanuele, a trovarmi, l’avvocato Marongiu era già scomparso, per presentarmi la sua compagna spagnola”.
Che tipo era Vinci? Che effetto aveva su una giovanissima praticante?
“Era un ometto tarchiato, vestiva sempre con jeans, portava degli occhiali da vista piuttosto grandi, avrebbe potuto passare inosservato se non ci si scambiava qualche parola. Aveva un tono di voce sottile, ma era sicuramente più colto di quanto ci si potesse aspettare in relazione al profilo descritto dalla stampa. Aveva uno sguardo magnetico.
Insomma aveva una personalità molto più spiccata di quanto potesse apparire a prima vista. L’effetto per una giovane praticate era certamente forte , io avevo letto tutto il fascicolo che riguardava le vicende del cosiddetto mostro ed in particolare il rapporto Torrisi, per cui ero curiosa. Ovviamente cercavo di capire se davvero un uomo come quello avesse potuto compiere quei delitti così particolari che comportavano una certa prestanza fisica, una conoscenza dell’uso del bisturi ecc.. Dava l’impressione di un uomo travolto dagli avvenimenti, ma con tanti aspetti oscuri. Però ciò che in quel momento era in primo piano era il fatto che la formulazione dell’accusa dell’omicidio della prima moglie fosse completamente destituita di fondamento, davvero strumentale alla sua custodia in carcere finalizzata all’ottenimento di informazioni proprio sui fatti che riguardavano gli omicidi attribuiti al mostro di Firenze. È questo non era tollerabile per un paese civile e democratico”.

Si ricorda di aver mai dubitato dell’innocenza di Salvatore Vinci, magari facendo paragoni in particolare sui delitti del 1960 e del 1968?
“Diciamo che mi avevano molto colpito le analogie fra i due delitti”.

Avvocato, per quello che le è consentito, può dirci di quali ‘pesi’ si era liberato Salvatore Vinci magari in confidenza con uno studio legale che in qualche modo rappresentava per lui un importante punto di riferimento?
“No , non posso e non voglio”.

Katiuscia Vaselli
Andrea Ceccherini

per il supporto tecnico si ringraziano Arianna Falchi e Monica Perozzi

 

(potete trovare la la video-intervista sul nostro canale YouTube)

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