Duccio Balestracci (Nicchio): “Agosto ’81, la vittoria e il giornalismo”

Docente di Storia medievale all’Università di Siena, Balestracci racconta la propria vita da nicchiaiolo: dal primo “tragico” ricordo al suo impegno negli organismi dirigenziali. Senza dimenticare la carriera dell’Assunta del 1981, un Palio dal sapore speciale

Spesso gli intellettuali vengono descritti come figure altezzose, piene di sussiego, un po’ snob. Ma non è questo il caso di Duccio Balestracci. Classe ’49, docente di Storia medievale all’Università di Siena, giornalista e autore di numerose pubblicazioni – dalla storia delle classi subalterne ai processi di alfabetizzazione, dalla guerra al confronto fra culture diverse – Balestracci è un profondo conoscitore delle dinamiche storiche e sociali della città, dotato di una originale vena umoristica.

Professore, ancora pochi giorni e i cavalli saranno di nuovo sul tufo per la carriera di agosto. Come vive le ore che precedono l’ingresso dei barberi fra i canapi?

“Malissimo (ride, ndr). Avvicinandomi ai settant’anni, certi stress non riesco più a reggerli bene. Poi, invece, ogni volta ce la faccio, anche perché non potrei andarmene lontano da Siena in questi giorni così intensi: è successo una sola volta in tutta la mia vita, in occasione di un Palio in cui non correva il Nicchio, ed ho giurato a me stesso di non farlo mai più”.

Qual è il suo primo ricordo di Palio?

“È un ricordo che definirei ‘tragico’. Si tratta del primo Palio in assoluto che ho visto, sopra le spalle di mio padre: era il 16 agosto del 1954. Nicchio primo fino a quando, all’ultimo Casato,  il cavallo scosso della Giraffa, Gaudenzia, passa in testa. Ho ancora impressa nella mente l’immagine del nostro fantino, Vittorino, che agita disperatamente il nerbo. Subito dopo inizia ad uscire una gragnola di bestemmie dalla bocca di mio babbo, convinto che avessimo già vinto il Palio”.

Cosa è stata e cosa rappresenta oggi, per lei, la contrada?

“Come racconto spesso, la contrada non deve essere per forza al primo posto nella vita del senese, anche se indubbiamente rappresenta un aspetto importante dell’esistenza di chi nasce e cresce in questa città. Identità, memoria comune, legame: senza mi sentirei in un certo senso incompleto. È un concetto che per i non senesi è forse difficile da comprendere fino in fondo. Certo, si può benissimo vivere facendone a meno. Anche se, forse, un po’ meno bene. Stare insieme, condividere emozioni, sentirsi parte di qualcosa di più grande. Tutto questo è la contrada. Allo stesso tempo è la cosa più semplice e inspiegabile del mondo”.

Ha alle spalle un passato da tamburino o alfiere?

“Sono sempre stato pessimo, sia con le mazze che con una bandiera fra le mani. Per questo, giustamente, non sono mai stato considerato degno di rappresentare la contrada come tamburino e alfiere. Sono stato invece vicecancelliere archivista per 12 anni, consigliere del priore e deputato di seggio. Ma vado anche estremamente fiero del mio attuale ruolo in contrada, quello di pizzaiolo durante lo svolgimento dell’annuale fiera gastronomica (ride, ndr)”.

Da storico, come crede che sia cambiato il ruolo della contrada alla luce delle trasformazioni che il tessuto sociale ha subito negli ultimi anni?

“Con la modificazione della struttura della città, e più in generale della nostra società, inevitabilmente anche il ruolo delle contrade si è modificato nel corso del tempo. I cambiamenti urbanistici e sociali hanno portato ad un modo diverso di vivere la contrada. Fino a non molti anni fa il centro aggregante era il rione, mentre adesso il cuore delle attività e degli incontri si è spostato in un punto ben preciso all’interno della stessa, nelle ‘società’, intorno alle quali ruota la vita di tutte e diciassette le consorelle durante l’intero anno. Nel passato, invece, non c’era bisogno di andare in contrada per incontrarsi perché già si viveva ‘gomito a gomito’, magari nella stessa strada. Oggi c’è un modo del tutto differente di stare in contrada, di rapportarsi con gli altri. Ma questo non ci deve spaventare: il Palio e le contrade sono sempre stati capaci di fronteggiare l’evolversi della storia e della società”.

Come saranno le contrade del futuro?

“Difficile dirlo. Quando Siena avrà ultimato il proprio processo di trasformazione, consolidandosi definitivamente come una realtà multietnica, sarà una sfida interessante rapportarsi con differenti culture, sensibilità e modi di aggregazione. Non sarà facile gestire il cambiamento, ma dovremo farlo se non vogliamo che tutto questo finisca”.

Il Palio è una tradizione che ha una storia secolare, nonostante non siano mai mancati gli attacchi provenienti dall’esterno. Qual è il segreto di tanta longevità?

“Questa non è una festa in calzamaglia come se ne trovano tante. Detesto, infatti, quando si definisce il Palio una festa: parlerei piuttosto di rito. Mi spiego meglio. Il Palio e le contrade fanno parte di un rito di aggregazione, di una mimesi di guerra e di scontro che è allo stesso tempo incontro e conoscenza. Non si tratta, stavolta utilizzando volutamente questo termine, di una festa “imbalsamata” nella quale si fa una parodia del passato. Piuttosto si attinge dal passato, non tanto per camuffarsi, quanto piuttosto per rivivere e riagganciarsi a secoli che fanno parte della nostra cultura e memoria. Questo è il segreto della sua longevità. Altre feste non possiedono questo patrimonio, e si tratta semplicemente di rievocazioni storiche, che per quanto belle possano essere restano qualcosa di molto diverso dal Palio e da tutto ciò che lo circonda”.

Il ricordo più bello?

“Il Palio di agosto del 1981. Una carriera che non credevo potessimo vincere e che invece si rivelò una vera sorpresa. Come disse lo stesso Ercolino (si tratta di Adolfo Manzi, il fantino che in quella carriera indossava il giubbetto del Nicchio, ndr), c’erano almeno cinque cavalli superiori rispetto al nostro. Inizialmente lo vidi prendere margine ma restai piuttosto diffidente. Tante, troppe volte eravamo partiti in testa per poi essere raggiunti. Quando invece lo vidi svoltare ancora in testa al terzo Casato fu un’esplosione di emozioni che raramente ho provato in vita mia. All’epoca dirigevo un giornale, il Nuovo corriere senese. Dopo aver festeggiato in contrada, ad un certo punto avvertii gli altri che me ne sarei andato. All’epoca, infatti, lavoravamo tutta la notte per l’edizione del Palio, che sarebbe uscita la mattina successiva alla corsa. Così salutai gli amici e corsi in tipografia: ‘Ho lavorato fin troppe volte ai numeri speciali per le altre contrade, adesso tocca a me!’. Quando fu giorno chiusi il giornale, e finalmente in prima pagina c’era la mia contrada. Sì, questo è decisamente uno dei ricordi più belli”.

Giulio Mecattini