La birra come medicina ai pazienti in terapia intensiva

Che la birra avesse proprietà terapeutiche era già risaputo ai tempi del medioevo.

Non a caso un famoso proverbio recita: “Chi beve birra, campa cent’anni”. Chissà se i ricercatori svizzeri si sono ispirati proprio a questo, nell’avviare il nuovo studio sui pazienti in terapia intensiva.

A partire dal marzo del prossimo anno, in Svizzera presso l’Ospedale Universitario di Basilea, secondo quanto riporta la rivista britannica the Drinks Business, a 118 pazienti in terapia intensiva, che soffrono di delirium, verrà somministrato mezzo litro di birra al giorno. I ricercatori hanno infatti spiegato che “il luppolo contiene l’humulone, una sostanza che ha dimostrato di avere un effetto calmante e di migliorare la qualità del sonno”.

Lo scopo dello studio è quindi valutare se il luppolo possa aiutare a prevenire il deliro, che colpisce un numero elevato di pazienti in terapia intensiva, a causa del ridotto flusso di ossigeno al cervello come nei casi di infezioni respiratorie gravi da Covid-19. I pazienti che soffrono di delirio trascorrono una media di 21 giorni in terapia intensiva, contro nove per gli altri pazienti.

I medici responsabili dello studio ritengono che gli effetti calmanti del luppolo uniti a una piccola quantità di alcol, potrebbero dare importanti miglioramenti. La birra ha un basso contenuto alcolico, e ne verrà somministrata ai pazienti poco meno di una pinta ogni giorno per sei giorni.

I pazienti verranno divisi in tre categorie: quelli ai cui verrà somministrata la birra alcolica, quelli a cui verrà data la birra analcolica e quelli a cui non verrà data nessuna birra. 

Il processo avrà luogo per 12 mesi a partire da marzo del prossimo anno.

Stefania Tacconi