Mors tua vita Pea: Vescovi e Vitucci strisciando nel basket dei veleni

di Claudio Pea

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Playoff al veleno. Così li ha chiamati Giannino Petrucci. E’ vero. Ma chi li ha intossicati? Lo aiuto io. Visto che lui, negli ultimi lustri, d’altre faccende si è occupato. Ha cominciato Milano, spalleggiato dalla Gazzetta, per bocca di Don Gel e i suggerimenti del Livido Proli. Al quale non era andato giù che Giorgio Armani avesse contatto Messer Minucci per dargli pieni poteri e sistemare un’armata che definire Brancaleone è da querela: farebbe imbestialire infatti lo stesso scalcinato signore di Norcia. A Milano è andata poi dietro Roma grazie ad un altro padrone del vapore che, invece di farsi una bella spaghettata di cavoli suoi, che ne ha in quantità industriale, ce l’aveva, e ce l’ha, a morte con Siena per una sola e semplice ragione: la Montepaschi sino a ieri sera vinceva sempre e per questo l’avrebbe voluta ammazzare. L’ultimo col dente avvelenato nei confronti di Siena è oggi come oggi Francesco Vescovi per 21 stagioni giocatore di Varese che Giannino Petrucci conosce molto bene: si ricorderà infatti che ha vinto uno scudetto per sbaglio nel 1999 quando il Cecco aveva ormai 35 anni e contava in quella squadra come il due di coppe con briscola bastoni.
Ad essere sincero a me non è mai stato simpatico e non mi ha mai ingolosito più dello stecco di un ghiacciolo. Forse perché da giocatore parlava male alle spalle delle persone e in particolare del mio amato cittì Sandro Gamba che pure non lo poteva vedere neanche dipinto nello spogliatoio della nazionale. E comunque non mi pare che sia molto cambiato. Visto che dopo la prima gara di semifinale con la Montepaschi ha sporcato la limpida vittoria dei senesi con dichiarazioni infamanti agli arbitri e a tutto il sistema. Non bastasse, sabato scorso,  nell’intervallo di gara quattro ha assalito, ovviamente alle spalle, un giovane tifoso mensanino che magari, anzi senz’altro, l’aveva precedente offeso, ma al quale non avrebbe lo stesso dovuto strappare di dosso la maglietta e spedirlo al pronto soccorso. Non fosse altro perché Francesco Vescovi, lo ricordo a Giannino Petrucci, è l’attuale presidente del Consorzio di Varese che molto probabilmente tra due settimane vincerà il titolo tricolore contro Roma o Cantù: stasera lo sapremo. Credo in differita televisiva su Raisport dal momento che la Gazzetta, con la testa chissà dove, ci (dis)informa che l’Acea affronterà la Montepaschi alle 21.10 su chissà quale canale…

Dell’aggressione di Vescovi al tifoso ne ha scritto domenica il Corriere di Siena, ma la Gazzetta si è ben guardata dal riprendere la notizia. O forse Bartezzaghi era impegnato a fare le parole crociate insieme al buon Nigro che nemmeno ieri sera s’è accorto che un altro Francesco di Varese, stavolta Vitucci, però nato in laguna vicino a casa mia, è uscito vittorioso dal parquet prima facendo il gesto dell’ombrello e poi alzando il medio al pubblico. O sono io un visionario? Non credo. Dal momento che con i miei occhi ho visto sabato la maglietta rotta in due e insanguinata del tifoso senese e ancora stamattina mi sono rivisto la registrazione dei gestacci dell’allenatore dell’anno 2012-2013 all’indirizzo degli spettatori in piedi (e inferociti) alle spalle della sua panchina. Succede. E comunque, cambiando discorso, che sarà meglio, vi dico un’altra cosa: non avrei mai pensato che Roma e Cantù la tirassero tanto per le lunghe e men che meno che Roma potesse vincere gara 6 in quella scatola infernale nella quale non c’è rispetto neanche per i santi. Figuratevi per Giovanna, la moglie del buon Carletto Recalcati, o per gli idoli del passato come Antonello Riva e, più recentemente, Cespuglio Stonerook e Bootsy Thornthon. La penso eguale a Cecco Angioleri, magnifico poeta, contemporaneo di Dante Alighieri, che non aveva peli come me sulla lingua: “S’i fosse fuoco, arderei ‘l mondo”. E già che ci sono brucerei anche il Pianella. Salvando il salvabile, cioè poco o nulla, di quella bolgia becera e volgare. Alla Virtus capitolina è riuscita invece martedì l’impresa di mettere dietro la lavagna gli indisciplinati scolaretti di Gas Gas Trinchieri che, quando li cerchi, scappano a nascondersi. Cominciando da Pietro Aradori che non supererà mai gli esami di maturità finché darà retta ai suoi sciocchi adulatori e rifiuterà come Leunen gli ultimi tiri. Nonostante Taylor giochi con la maschera, Datome sia più stanco degli italiani nei confronti dei politici e, come D’Ercole, abbia i garretti a pezzi. Nonostante gli arbitri, e soprattutto il Cerco Begnis, siano stati capaci di far peggio di Cicorino Cicoria e i suoi due soci nella quarta semifinale tra Siena e Varese. E per questo meriterebbero un bel premio. Non so, un viaggio d’andata e non ritorno a quel Paese. Dove anche gli asini con le ali non si sarebbero mai sognati di punire Jones e Lawal per un blocco e una stoppata assolutamente regolari. E comunque, se non volete premiare Luca Banchi allenatore dell’anno di grazia 2013 solo perché ce l’avete a morte con Siena, almeno assegnatelo a Marco Calvani. Che magari non avrà la simpatia di Gas Gas o la generosità di Din Don Dan Peterson, l’aplomb di Sacripanti de Sacripantibus o il carisma di Don Gel, ma ha fatto i bambini come la cicogna che li deposita sulle foglie dei cavoli già con la barba e i baffi. Dovendo fare quotidianamente i conti non solo con il lunatico Lawal che non sai mai come prendere, ma anche con quel curioso personaggio che è Ciglione Claudio Toti al quale non va mai bene niente, neanche l’ufficio stampa della Lega che ha semplicemente inserito nella rassegna di venerdì un articolo dell’Espresso che l’ingegnere romano ha giudicato diffamatorio e lesivo della sua immagine e del suo gruppo edilizio-immobiliare. Insomma, se Toti ce l’ha con l’Espresso, se la prenda con il settimanale di politica, cultura ed economia, che gli ha fatto i conti in tasca e ha rivelato un debito netto di 850 milioni di euro alla holding di famiglia, e non con il povero Maurizio Bezzecchi che fa bene il suo mestiere di giornalista.