Mors tua vita… Pea: senza Sky, eppur si gioca – Il commento di Claudio Pea

Mors tua vita...Pea

di Claudio Pea

 

A momenti ci cascavo anch’io. Così si dice tra ponti e campielli, ma anche penso in altri angoli del BelPaese, quando ti raccontano una cosa alla quale non vuoi assolutamente credere perché non sta né in cielo né in terra, però a forza di sentirla, magari finisci per convincerti che forse, chissà, possa essere anche vera. E così a momenti ci cadevo anch’io che la nazionale dei tre Re Magi potesse andare alle Olimpiadi di Londra: come no? Regalando oro, argento e birra. E così a momenti ci credevo anch’io che Kobe Bryant potesse venire a giocare a Bologna: perché no? Una partita alla lippa non la si nega nemmeno a un bambino. Figuriamoci a Claudio Sabatini che è diventato grande inventandosene una al giorno.

A momenti ci cadevo anch’io che Siena potesse prendere Bargnani scimmiottando Milano che con un gettone d’appena centomila euro a presenza s’era assicurata l’altro dei tre Re (diventati) Mogi, quello che ha scritto con Cicciobello un libro che non ha letto manco lui. A momenti ci credevo anch’io che sarei diventato direttore di Superbasket: lo dicevano tutti alla presentazione del campionato di serie A, peccato che non sappia neanche che faccia abbia e chi sia il nuovo editore del settimanale che pure quest’anno non porta un cicinin di fortuna a chi sbatte in prima pagina. Venerdì, perché in laguna non arriva prima, ho visto in copertina Hackett accompagnato da questo titolone: “Il ruggito di Pesaro” e da questo sommario: “La vittoria di Cantù è una conferma: la Scavolini Siviglia è una realtà”. Difatti quarantott’ore dopo Pesaro ha straperso in casa con la Reyer, il che non accadeva da trentasei anni. Ovvero da sette lustri più qualche spicciolo di mese.

A momenti ci cascavo anch’io che la Montepaschi fosse ormai alla frutta: logora, vecchia, stanca, denutrita e chi più ne ha più ne metta. Non so: pure appagata, spenta, prevedibile, mollacciona, superba. Al punto che dopo la sconfitta con Caserta le avevano già fatto il funerale. Al quale hanno partecipato in molti, gonfi e tronfi. Massì. “Sarà tutto grasso che cola se quest’anno Siena passerà il primo turno dell’Eurolega e se raggiungerà le semifinali dei playoff” mi hanno raccontato che sussurrassero uno all’orecchio dell’altro sfregandosi le mani e spargendo nell’aria incenso. Ma soprattutto a momenti ci cascavo anch’io che il nostro campionato non si sarebbe disputato non tanto per la manifesta superiorità accreditata all’opulenta Milano di Sergio Scariolo o per l’imbecillità di qualche arbitro scappato sull’Aventino che, per chi non lo sapesse, glielo dico io, è uno dei sette colli di Roma, il più vicino al Tevere. Dove dovrebbero buttarsi con una grossa pietra legata al collo tutti quelli che sognavano la nazionale del Gallo dalle uova d’oro alle Olimpiadi e una serie A assai più bella con la squadra di Minucci allo sfascio o comunque in tono minore. Quanto per la decisione presa da Sky di girare le spalle alla nostra disgraziata palla nel cestino e di trattarla peggio d’un’appestata. In effetti mai avrei potuto immaginare che si potesse ancora giocare a basket in Italia, e qui lo dico sinceramente, senza l’enfasi, le lavagnette e la regia di Flavio Tranquillo e della sua band che tutti i fine settimana, con grande pazienza e impareggiabile equilibrio, ci prendevano amorevolmente per mano e coraggiosamente ci accompagnavano nei meandri di uno sport che altrimenti noi comuni mortali non avremmo mai potuto capire e apprezzare. Spiegandoci che un canestro dalla linea della Carità vale un punto, ma ce n’è anche per tre se ad un tiro da due si somma un libero, mentre quello dell’Ave Maria mi sono ormai dimenticato cosa sia. Ricordo solo che, se la palla per sbaglio frustava la retina, dovevo tapparmi le orecchie altrimenti mi lesionavo i timpani.

E così domenica sera, cercando per le campagne di Villorba sotto una pioggia torrenziale una trattoria dove sulla greppia trionfassero le costicine con polenta, ho visto il Palaverde illuminato a giorno e tanta gente sotto gli ombrelli che s’incamminava verso il palasport. Vuoi vedere che c’è una riunione di pugilato? Errore: avevano appena cominciato – meraviglia delle meraviglie – a giocare proprio una partita di basket. E pure di serie A e persino di cartello: la discola Benetton di Sasha Djordjevic contro la più bella del reame, massì la meravigliosa Cantù di GasGas. E c’era pure il Paron Zorzi che ho abbracciato con l’affetto di un figlio che rivede dopo un sacco di tempo il caro padre. E c’era Artiglio Caja con le cuffiette della Rai e le valigie pronte per volare a Cremona dove farà bene come del resto ha sempre fatto bene dovunque è andato ad allenare. C’era la siora Lalla Benetton che, al contrario del suo sposo, non sa proprio rinunciare alla grande squadra di famiglia per la quale ancora tifa col cuore e perde la voce. Ma che bello! Anche senza Sky. E senza Tranquillo. No, la pallacanestro non può morire a Treviso. E quello chi è? Gal Mekel, mi suggerisce Maurizio Gherardini seduto al mio fianco. Qui si gioca e nella Nba no, gli faccio. E lui se la ride di gusto. Comunque sia, ebreo o polacco, non importa: quel Mekel non mi dispiace affatto. Male invece il piccolo Gentile. Capita, ci vuol pazienza, deve crescere, d’accordo, ma per favore non ditemi più che con lui la nazionale di Pianigiani agli Europei in Lituania avrebbe battuto Serbia, Germania e Francia. Sì, a briscola. Però a momenti ci cascavo io…