Un nuovo studio svela come alcuni virus eludono gli anticorpi

Una recente ricerca del San Raffaele di Milano mostra perché alcuni virus riescono a sfuggire al controllo del sistema immunitario. Fra i ricercatori che hanno condotto lo studio c’è anche Stefano Sammicheli, giovane ricercatore di Siena specializzato in biotecnologie

Perché alcuni virus provocano delle infezioni che il nostro sistema immunitario non riesce a combattere efficacemente? Un nuovo studio realizzato al San Raffaele di Milano – pubblicato a fine ottobre sulla prestigiosa rivista Science Immunology – ha finalmente risposto a questa domanda, svelando il meccanismo attraverso il quale alcuni virus riescono ad eludere le risposte anticorpali. La ricerca, coordinata da Matteo Iannacone, è stata condotta, fra gli altri, anche da un ricercatore senese, Stefano Sammicheli. Classe 1979, dopo la laurea in biotecnologie all’Università di Siena  il ricercatore toscano ha lasciato la città del Palio per conseguire un dottorato di ricerca al Karolinska Institute di Stoccolma, in Svezia, per poi fare ritorno in Italia nel 2013.

Stefano Sammicheli, 37 anni, oggi ricercatore al Crick Institute

Stefano Sammicheli, 37 anni, oggi ricercatore al Crick Institute

“Con la ricerca che abbiamo svolto a Milano – racconta Stefano Sammicheli, che da novembre si è spostato a Londra al Francis Crick Institute – abbiamo cercato di rispondere ad una domanda senza dubbio impegnativa, andando alla ricerca delle ragioni per le quali alcuni virus che colpiscono l’organismo umano vengono in un certo senso ‘controllati’ dal sistema immunitario, mentre altri sfuggono al riconoscimento dei linfociti B (un particolare tipo di globuli bianchi che è addetto alla produzione degli anticorpi, ndr)”.

Si tratta di un quesito che fino ad oggi era rimasto irrisolto, la cui risposta potrebbe avere dei risvolti positivi per la salute di migliaia di pazienti. Sono infatti diversi i virus – fra cui quelli responsabili di HIV, epatite B e C – che sono accomunati dal fatto di riuscire ad eludere la risposta del sistema immunitario nelle prime fasi. Normalmente, invece, una volta che i linfociti B si attivano per produrre gli anticorpi, essi vengono direttamente eliminati o segnalati ad altre cellule dell’organismo come “ospiti indesiderati”, che poi provvedono a neutralizzare.

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Il team del San Raffaele di Milano, coordinato da Matteo Iannacone, è composto anche da Mirela Kuka, Pietro Di Lucia, Lucia Ganzer, Marco De Giovanni e Marta Mainett, che hanno tutti contribuito alla pubblicazione della ricerca

“Per prima cosa abbiamo ricreato in laboratorio, sui topi, delle infezioni simili a quelle che colpiscono l’uomo, sia di un tipo che dell’altro (i virus eliminati nelle prime fasi dell’infezione e quelli che resistono alla risposta immunitaria, ndr). Per fare questo abbiamo utilizzato dei particolari tipi di virus che, una volta attaccato l’organismo, diventano fluorescenti, in modo da essere perfettamente visibili al microscopio”.

Grazie ad un’operazione di microchirurgia eseguita sull’animale è stato quindi studiato, in tempo reale e soprattutto dall’interno, cosa avviene nei dei linfonodi (gli organi dove le risposte immunitarie si sviluppano), riuscendo a visualizzare in vivo quello che avviene nelle ore successive al manifestarsi dell’infezione. Tutto questo è stato possibile grazie all’utilizzo della microscopia intravitale: una tecnologia che Stefano Sammicheli ha imparato ad utilizzare alla Harvard Medical School di Boston, prima di fare rientro in Italia. Si tratta di un tipo di microscopia particolarmente avanzato e ancora non molto diffuso a livello mondiale (in Italia l’unico laboratorio a poterne disporre è proprio quello di immunologia del San Raffaele, ndr).

“Abbiamo trovato delle differenze importanti fra questi due tipi di modelli virali – conclude Stefano Sammicheli – che ci hanno fatto pensare che l’esistenza di virus in grado di evadere la risposta del sistema immunitario sia dovuta al mantenimento di uno stato di infiammazione prolungato. Infatti, questi tipi di virus attirano sui siti dell’infezione alcune particolari cellule – i monociti infiammatori – che nel tentativo di controllare l’infezione uccidono erroneamente i linfociti B, permettendo al virus di riprodursi”.

Eliminando i monociti infiammatori oppure impedendone l’arrivo nei linfonodi, i linfociti B riprendono invece a produrre anticorpi, riuscendo così a neutralizzare il virus. Questa scoperta apre quindi nuove direzioni d’indagine per la cura delle infezioni virali nell’uomo, in particolare per la progettazione di nuovi vaccini.

Giulio Mecattini