Nature morte a Firenze

Simone Togneri, Nature morte a Firenze, Genova, Fratelli Frilli Editori, 2015

foto di Antonio Cinotti

In principio fu Edgar Allan Poe, coi suoi “Delitti della Rue Morgue” (1841). Quindi fu la volta di Arthur Conan Doyle, Wilkie Collins, Agatha Christie, Georges Simenon, Raymond Chandler, Rex Stout, James Ellroy, Giorgio Scerbanenco, Giorgio Faletti, Andrea Camilleri. Inizialmente amato dal pubblico, successivamento apprezzato anche dalla critica – come avviene spesso – , il genere poliziesco pare non conoscere crisi e la stessa ricchezza di sottogeneri nei quali si è venuto articolando (hard boiled, police procedural, noir metropolitano, thriller, giallo a enigma) è la prova migliore della sua sua inesausta vitalità e dell’interesse che suscita, una vitalità e un interesse che trovano conferma anche nei numerosi film e nelle numerose serie televisive, che i romanzi gialli hanno ispirato nel corso del tempo.
E all’interno di questa feconda tradizione letteraria si viene a collocare anche “Nature morte a Firenze”, l’ultimo lavoro di Simone Togneri. Ambientato nel capoluogo toscano, come già il titolo ci ricorda e l’immagine di Palazzo Vecchio, che compare in copertina, ci suggerisce, il romanzo mostra nuovamente in azione il commissario Mezzanotte e Simòn Renoir, stavolta alle prese con un misterioso assassino che, dopo avere ucciso le sue vittime, le mette in posa e le ritrae, con pazienza e buona tecnica, creando una macabra e grottesca galleria di dipinti: “Uomo con angurie”, “Sposi con Cesto di Mele”, “Uomo con Treccia di cipolle”. Nel passo che segue viene descritto il rinvenimento del primo cadavere, quello di un professore dell’Accademia di Belle Arti di Firenze:

“Le mosche ronzavano sul piatto e sull’acquaio. La finestra ne era piena, e così il soffitto. Un paio, grosse come chicchi di caffè, sfrecciarono vicino alle orecchie di De Seriis, che si affrettò a scacciarle con un gesto secco della mano. L’odore di marcio si fece più forte sulla soglia della camera da letto. La veneziana abbassata quasi del tutto manteneva l’ambiente in penombra. L’ingresso dell’ispettore fece sbattere da tutte le parti una nuvolaglia di mosche. T. Giordano era in piedi nella stanza e fissava il letto con aria assente. Le mosche gli si posavano addosso a folate, ma lui non sembrava farci caso. La loro presenza era sensata. Sul letto, disteso in modo da occuparne la diagonale, c’era il corpo di un uomo. La scarsità di luce evitava di mostrare ciò che si intuiva: uno scempio. La carne rossa era stata strappata via dalle ossa, che biancheggiavano semisommerse dal putridume. De Seriis si fece coraggio e cercò l’interruttore della luce. Il neon lampeggiò una, due volte. L’uomo giaceva nudo, disteso sul letto. Immobile. La carne divenne polpa rossa d’anguria. Le ossa il biancore interno della buccia. Il corpo era immerso nelle angurie. Almeno una dozzina. Tutte spaccate a metà. Il rosso intenso dei frutti in avanzato stato di maturazione, rendeva impossibile capire se ci fosse anche del sangue. Così come era difficile distinguere i semi dagli insetti”.

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Simone Togneri, Nature morte a Firenze, Genova, Fratelli Frilli Editori, 2015.

 

a cura di Francesco Ricci