Lo Zoo, il nuovo libro di Marilù Oliva

Il potere è fatto di distanza e di concretezza. La distanza che separa, specialmente all’interno delle moderne democrazie rappresentative, i cittadini dalla classe politica e dall’apparato amministrativo- burocratico dello Stato – la “gabbia d’acciaio” di cui parlava Max Weber – , la concretezza di decisioni, norme, leggi, che condizionano, spesso avvelenano, il nostro vivere quotidiano. Del potere si può parlare, e se ne parla, sia in maniera diretta sia in maniera indiretta. Da un lato, infatti, incontriamo il trattato, il manifesto politico, il “pamphlet”, la denuncia affidata a versi di “cemento e di vetro”, che tendono a rendere labile il confine che separa il piano della realtà dal piano del linguaggio, della parola scritta. Dall’altro, invece, abbiamo l’apologo, la favola, il racconto o il romanzo satirico (si pensi, a titolo d’esempio, a “la fattoria degli animali” di Orwell o a “Cuore di cane” di Bulgakov), che non rinunciano del tutto a introdurre nella narrazione componenti fantastiche e grottesche. Proprio quest’ultima è la strada imboccata anche da Marilù Oliva col suo ultimo lavoro, “Lo Zoo”. La vicenda, infatti, ambientata in un Salento surreale e bruciato dal sole e che vede come protagonisti, accanto alla Contessa e al suo compagno, una galleria di creature “sorprendenti” (tra le quali l’Uomo Scimmia, La Donna Anfora, l’Angelo, la Sirena), si presta a molteplici interpretazioni, che coinvolgono diversi livelli di significato, come sovente accade nella letteratura del Postmoderno. E se il lettore ingenuo è catturato dall’intreccio ed è preso dallo sforzo di risolvere il giallo (chi è stato a uccidere uno degli ospiti dello Zoo?), il lettore colto è invitato a riflettere intorno alla natura del potere – il tema è costantemente richiamato per via allegorica –, un potere che non arretra neppure di fronte alla diversità più inerme e più fragile, un potere che corrompe e che avvilisce. Nel passo che segue, tratto dal capitolo iniziale, viene descritto uno degli ospiti dello Zoo, l’Angelo:

“L’Angelo, la terza attrazione. L’uomo con le ali. Le scapole gli erano cresciute più del previsto, sviluppandosi in sporgenza calcarea. Il fidanzato della Contessa ci aveva poi aggiunto la sua creatività, infilandoci dentro delle piume di struzzo infuse nell’oro, con un’inventiva che avrebbe sorpreso qualsiasi esperimento di chirurgia plastica. I capelli biondi erano stati arricciati, gli avevano fatto indossare una veste candida con un buco sulla schiena da cui sbucavano le ali e, così addobbato, con una corda come cintura, era stato sistemato nella terza teca, quella di fianco alla Donna Anfora. Dal momento che era un angelo e si riteneva indispensabile riprodurre il suo habitat naturale, la sua gabbia era stata riempita di cotone idrofilo sul quale sembrava planasse e, al centro del soffitto, era stata issata una grossa croce aurea. Il giaciglio era costituito da un letto bianco e, accanto, un altare fungeva da credenza. Sulle sbarre della parete più lunga, un trittico riproduceva una pala, toscana e trecentesca, con la Vergine e gli Evangelisti”.

Marilù Oliva, Lo Zoo, Roma, Lit Edizioni, 2015

Marilù Oliva, Lo Zoo, Roma, Lit Edizioni, 2015.

 

a cura di Francesco Ricci