Giovanni Impastato, Oltre i cento passi

Giovanni Impastato, Oltre i cento passi, Milano, Edizioni Piemme, 2017

La storia di Peppino Impastato è una tipica storia italiana. È una storia di morte. Ma non è questo il punto. Si muore in tanti, ogni giorno, in questo nostro Paese, e si muore in molti modi. Sul posto di lavoro, per il crollo di un viadotto costruito con materiali scadenti, mentre si attraversano le strisce pedonali. No, non è il morire – nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978 – a fare notizia, a rendere la biografia di Peppino Impastato un pezzo di storia italiana.

Piuttosto è quello che viene dopo, dopo che il funerale è stato celebrato, dopo che mamma Felicia ha versato tutte le lacrime che un essere umano può versare. È il depistaggio attuato da alcuni magistrati, da alcuni ufficiali dei carabinieri. È il tentativo di accreditare presso l’opinione pubblica la tesi che Peppino Impastato era un terrorista. È il ritardo (ventidue anni) col quale il Ministero dell’Interno ha accettato di inserirlo nell’elenco delle vittime di mafia (il mandante dell’omicidio fu il boss Tano Badalamenti).

Il libro che Giovanni Impastato ha dedicato a suo fratello (“Oltre i cento passi”, Edizioni Piemme), di conseguenza, non è semplicemente un omaggio alla memoria di un giovane, morto a soli trent’anni. Non è solamente il resoconto di una vita “piena”, che ebbe nella lotta alla mafia – lui che era nato in una famiglia mafiosa – la sua stella polare e i suoi snodi fondamentali nella militanza nel Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, nel sostegno ai contadini che avevano subito l’esproprio delle loro terre per la costruzione della terza pista dell’aeroporto palermitano, nella costituzione del gruppo “Musica e cultura” e nella fondazione di “Radio Aut”, radio libera autofinanziata.

No, “Oltre i cento passi” finisce con l’assumere l’aspetto anche di una requisitoria nei confronti di uno Stato assente, spesso pure omertoso o colluso, controbilanciata, però, dalla celebrazione della forza della tenacia, della perseveranza, del ricordo, splendidamente incarnati in mamma Felicia, splendidamente vivi nel Centro siciliano di documentazione Giuseppe impastato e nell’associazione Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato. Il passo che segue è tratto dal capitolo iniziale, “Posso aspettare, non posso rinunciare”.

“Due visitatori di Casa Memoria. Una coppia in vacanza che dev’essersi goduta, in questi giorni, il nostro bel mare, le spiagge, la cucina. Sono entrati e hanno salutato, educati e seri. Li ho accolti con un sorriso discreto. Non mi sono presentato, non ancora. Cominciano la visita da soli. Sto pensando a un intervento che devo fare tra pochi giorni a un gruppo di ragazzi che stanno vivendo un periodo di convivenza e di formazione sul tema della legalità a Marina di Cinisi, a Fiori di Campo, un bene confiscato alla mafia, in mezzo al verde. So cosa dire, so dove voglio arrivare: lo so da più di quarant’anni, da quando mio fratello era vivo. Eppure ogni volta che devo parlare ci penso e ci rifletto. Ogni incontro, nella vita, è un’occasione, e quei ragazzi mi vedranno, mi ascolteranno e intanto penseranno: “È Giovanni Impastato! Il fratello di Peppino, quello del film…”. Devo sempre prepararmi bene, perché chi mi ascolta vada oltre l’immagine, o meglio: perché ci entri dentro e ne colga lo spessore, la forza, la complessità. Intanto i due visitatori scorrono con lo sguardo i grandi pannelli con le fotografie di allora e i testi esplicativi; le tappe della vita di Peppino, le iniziative”.

 

Giovanni Impastato, Oltre i cento passi, Milano, Edizioni Piemme, 2017

 

a cura di Francesco Ricci