Gina Emanuela Sorace e Le colpe nel sangue

Gina Emanuela Sorace, Le colpe nel sangue, Vicenza, AltroMondo Editore, 2013.

foto di Hartwig HKD

Autenticità e autentico sono parole stupende. Autenticità e autentico sono parole pesanti. Infatti, come ci suggerisce il significato etimologico tanto del sostantivo quanto dell’aggettivo – e nessuno meglio di Martin Heidegger lo ha mostrato – , tutte le volte che le pronunciamo, ci riferiamo a una delle possibilità fondamentali dell’esistenza (l’altra è l’inautenticità), che prevede che noi non ci lasciamo condurre e guidare in modo inconsapevole dalle esperienze che facciamo, ma che le viviamo coscientemente e le assumiamo all’interno del “nostro”, e soltanto “nostro”, progetto di vita. Compito stupendo, compito pesante, che tutte le volte che viene eluso ci trascina dentro i territori dell’inautenticità (assumendo il termine in un’accezione di significato più ampia e meno neutra rispetto a quanto fa il filosofo tedesco), dove è facile imbattersi nella falsità, nella superficialità, nella menzogna. A questo punto poco cambia se noi mentiamo dicendo di essere ciò che non siamo o celando quello che veramente siamo. In entrambi i casi, noi non siano fedeli a noi stessi, noi non siamo autentici. E’ quanto sceglie di fare (mentire, ingannare, nascondere) anche il sessantenne Roberto Egondi, il protagonista del romanzo giallo “Le colpe nel sangue” di Gina Emanuele Sorace. Dopo la laurea in Medicina e Chirurgia e la specializzazione a Siena, l’uomo si trasferisce a Pisa, si fa un nome in ambito professionale, mette su famiglia, conosce persone in vista, senza rinunciare, però, a coltivare segretamente la passione per i soldi e, soprattutto, per il sesso. Ma non c’è uomo che possa mettere a tacere il senso di colpa e non fare i conti con la verità – la propria, quella degli altri – per tutta la vita. Nel passo che segue il protagonista si presenta, comunicando al lettore il senso di mistero che circonda l’esistenza di lui e della sua famiglia:

“Mi tenevo in forma non tanto per gli sport che facevo, dal tennis all’equitazione passando per nuoto e golf, quanto per le bugie che sparavo e ricordavo ormai da tempo: mentire era per me un secondo lavoro, se non il primo, e ormai ne dicevo talmente tante di balle che avevo iniziato a crederci. Io, Roberto Egondi, sessant’anni, l.aurea in Medicina e Chirurgia con specializzazione in Ginecologia a Siena, trasferito poi a Pisa, avevo fatto nascere, in trent’anni di onorata professione, trecentosette bambini, sani e belli, e vivevo nutrito di amore per Daniela e Simone, quell’amore mi spingeva a mentire per proteggerli: dire loro la verità, mi ripetevo, non sarebbe servito a nulla, e sebbene avessi dato loro un castello sfarzoso di vita costruito sull’aria, loro ammiravano solo il castello perché non abbassavano mai la testa. Alle cinque del mattino ero ancora sveglio, Daniela, madida di sudore, stava facendo il bagno nella nostra piscina, con un bel costume intero rosso,mi assalì il desiderio di lei, ma dovevo iniziare a prepararmi per quella giornata particolare e così la evitai, la sua bellezza era troppo pericolosa. Salii al terzo piano in camera di Simone. Come era bello! Altissimo, nel suo letto su misura, solo uno slip addosso”.

Gina Emanuela Sorace, Le colpe nel sangue, Vicenza, AltroMondo Editore, 2013.

 

a cura di Francesco Ricci