Duccio Balestracci, La battaglia di Montaperti

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La vita ha molta fantasia. Combina appuntamenti e traccia mappe – geografiche, sentimentali – che in un primo momento somigliano agli scarabocchi fatti da un bambino sopra un foglio, ma che col tempo si rivelano essere spartiti musicali, coerenti pagine di un libro di memorie, affreschi splendidamente intellegibili nel loro significato di fondo. A volte la piccola e la grande Storia un senso lo lasciano intravvedere, altre volte siamo noi che glielo conferiamo, forse per non venire afferrati alla gola dall’angoscia generata dal caos, dal disordine, dall’assenza di regola e di logica. Vero è che io sono nato a Firenze, ho trascorso i miei primi anni di insegnamento a Empoli, e dal 1995 risiedo stabilmente a Siena. E sono proprio queste le città alle quali si pensa, ogni volta che capita d’imbattersi, per ragioni di studio o per diletto, nella battaglia di Montaperti del 4 settembre 1260. A scontrarsi, infatti, furono da una parte l’esercito fiorentino con i suoi alleati, dall’altra le truppe senesi, appoggiate dai cavalieri di Manfredi di Svevia. La vittoria di Siena mise in forse la stessa sopravvivenza di Firenze, dal momento che non pochi avrebbero voluto vederne le mura abbattute.

Ma ad Empoli, alla fine del mese di settembre, questa decisione estrema non venne presa, complice la contrarietà espressa dai fuorusciti fiorentini di parte ghibellina: si ebbe, invece, il rovesciamento del regime guelfo con il conseguente esodo di numerose famiglie in vista, tra le quali i Bardi, i Mozzi, i Soderini, i Cavalcanti, i Machiavelli. Dunque, Firenze, Siena, Empoli. I luoghi di una mia privata geografia sentimentale, che ora ritrovo coerentemente riuniti e giustapposti nel bellissimo libro che Duccio Balestracci, docente di Storia medievale e Civiltà medievali presso il nostro Ateneo cittadino, ha dato da poco alle stampe. Bellissimo per tre ragioni di fondo (ma, in realtà, sarebbero molte di più). La prima è che si presenta come un testo documentato e informatissimo, che dà puntualmente conto delle fonti utilizzate, senza rinunciare a sottolinearne la natura talora ambigua o incerta.

La seconda è che è un saggio che si lascia leggere benissimo perché è scritto benissimo, al punto che certe pagine hanno il gusto del romanzo storico, avvincono e catturano. La terza è che Balestracci non rinuncia – lontano in questo da ogni anacronistico campanilismo – a sottolineare i costi, in termini di beni e di vite umane, che la battaglia di Montaperti comportò, al punto che l’ottavo capitolo, “Dopo Montaperti”, può essere letto anche come un’intensa pagina della cosiddetta Letteratura dell’esilio. Il passo che segue, in apertura di volume, chiarisce le difficoltà incontrate in sede di ricerca storica e di stesura dell’opera.

“In realtà, di Montaperti si ricostruiscono agevolmente antefatti e conseguenze, ma assai mano lo svolgimento della battaglia, perché non disponiamo di alcuna fonte coeva che ci illumini (ammesso e non concesso che possa essere mai possibile) su che cosa sia avvenuto sul luogo del combattimento, anch’esso più congetturale che sicuramente identificato. Le cronache di parte senese, che fanno unanime riferimento ad una misteriosa cronaca coeva scomparsa, come quelle di parte fiorentina, sono tutte posteriori di alcuni (a volte molti) decenni. Logicamente non mi riferisco a quelle testimonianze che qualche mese o, al massimo, qualche anno dopo il fatto lo ricordano, ma a quelle, con pretesa di narrazione estesa, attraverso le quali si potrebbe sperare di capire l’accaduto di quel giorno. Non solo: le stesse cronache accolte nella nuova edizione dei “Rerum Italicarum Scriptores” negli anni Trenta del Novecento, dopo un’attenta opera di revisione e di depurazione di quanto inserito nell’edizione muratoriana settecentesca, non ci sono nemmeno arrivate in esemplari autentici, bensì in copie redatte in età moderna”.

Riccardo Pedraneschi, Finimondo, Siena, il Leccio, 2017

 

a cura di Francesco Ricci