Antonio Donadio, Calcio d’autore, Editrice La Scuola, Brescia, 2017

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Uno snob non potrà mai amare il gioco del calcio. La popolarità di cui quest’ultimo gode, la passione che suscita in tutte le classi sociali, la stessa capienza degli impianti dove va in scena alla domenica (lo stadio) sono destinate a renderlo sospetto a chi tiene costantemente un atteggiamento di superiore distacco e di ostentata sufficienza nei confronti del resto degli uomini. Non è un caso che Eugenio Montale, il più snob dei nostri poeti, confidasse – non senza ironia – a Maria Luisa Spaziani (cantata col nome di Volpe nelle sue liriche più tarde), una volta nominato senatore a vita, di voler proporre una legge che riducesse a poco più di due settimane i giorni in un anno nei quali era concesso di disputare le partite.

Al di fuori di quel periodo, si doveva osservare un assoluto silenzio-stampa. Quella di Montale, però, rimane una voce isolata. Il Novecento letterario, infatti, ha profondamente amato e celebrato il gioco del calcio, al punto che le cinque poesie che Umberto Saba gli dedicò all’interno della raccolta “Parole” (1933-1934) o la fotografia di Pasolini su un campino polveroso della Borgata Quarticciolo (1960) sono ormai parte di una memoria vasta e condivisa.

Anche per questo motivo, non può essere accolto che con favore e gratitudine il libro scritto dal poeta e critico letterario Antonio Donadio, intitolato “Calcio d’autore. Da Umberto Saba a Gianni Brera: il football degli scrittori”. Accostando le parole dei poeti a quelle dei giornalisti, le parole dei cantautori (De Gregori, Bennato, Nannini, Ligabue, Gaetano Curreri) a quelle dei tifosi (affidate a cori, sfottò, striscioni), Donadio restituisce intatto l’incanto di quel grumo di impressioni, stati d’animo, emozioni, che accompagnano “l’ultima rappresentazione sacra” – la definizione è di Pier Paolo Pasolini – del nostro tempo”. il passo che segue è tratto dal capitolo di apertura, “Il calcio è la metafora della vita (Sartre)”.

“Testimone della contemporaneità, il gioco del calcio lo è sempre stato, sin dalle sue origini, metafora della vita sociale e dei suoi contrasti stridenti. È l’8 di maggio del 1898, a Torino si svolge il primo Campionato Federale di Football, in una sola giornata. Quattro squadre partecipanti, semifinali e poi finale tra le rispettive vincitrici. Il Genoa batte l’Internazionale di Torino 2 a 1. Proprio in quelle ore, a Milano, il generale Fiorenzo Bava Beccaris sparava cannonate sulla folla, reprimendo nel sangue – 80 morti e quasi cinquecento feriti – un pacifico moto popolare causato dalle misere condizioni di vita. Così nei versi di Edoardo Sanguineti è celebrata la nascita del calcio

1898

ma che cose! e che casi! L’8 maggio

il Genoa vinse l’Internazionale

(2 a 1): (e fu il felice protosaggio

del nostro campionato):

il generale

telegrafò, quella sera stessa:

“il governo può stare tranquillo,

_ era il Bava, era il boia, _ è ormai repressa

la ribellione”:

(e il calcio è al primo squillo)

Per quella che fu giudicata un’eccellente operazione, il generale ricevette dal re Umberto I la Gran Croce dell’Ordine Militare di Savoia e in seguito un seggio da Senatore. Iniziava così il calcio, inconsapevolmente, a distogliere l’attenzione dai problemi del vivere quotidiano?”

 

Riccardo Intruglio, Il romanzo erotico, Tricase (LE), Youcanprint Self-Publishing 2017

 

a cura di Francesco Ricci