Un’estate con Proust

estate-marcel-proust

Il poeta Attilio Bertolucci ha sempre ricordato con emozione quella volta che, era poco più che quattordicenne e si trovava a Venezia, scoprì in una bancarella i volumi della “Recherche” di Marcel Proust, di cui aveva sentito “non parlar, ma quasi favoleggiare”.

E come accaduto a molti altri, neppure lui poté più dimenticare il capolavoro dello scrittore francese, al punto di rendergli di fatto omaggio con quel singolare romanzo autobiografico in versi che è “La camera da letto”, nel quale ripercorre le vicende della famiglia Bertolucci, dal loro trasferimento dalla Maremma all’Appennino parmense, nel corso del XVII secolo, sino alla su partenza per Roma, nel novembre del 1951. D’altra parte, la “Recherche” di Proust, che spesso è stata accostata a una cattedrale medievale per la complessità e la perizia costruttiva – il primo a farlo fu il suo stesso autore, che, indifferentemente, la paragonava ora a una chiesa gotica ora a un vestito – è uno di quei libri che non solo, a dispetto della mole (circa tremila pagine) e dell’oggettiva difficoltà dello stile, contraddistinto da frasi e periodi lunghissimi, torniamo con piacere crescente a rileggere nel corso degli anni, rinvenendovi sempre qualcosa di nuovo, ma è anche un’opera che ci muta in profondità, donandoci uno sguardo nuovo. Uno sguardo nuovo su cosa? Sul tempo, la memoria, la gelosia, il desiderio, l’ambiguità del sentimento amoroso, la bellezza dell’arte, i benefici dell’immaginazione, il rapporto con l’altro da noi, l’attesa, la speranza, il dolore. In una parola, ci regala una maniera diversa di osservare l’esistenza.

Ora Laura El Makki, che si occupa di trasmissioni letterarie per “France Inter”, ha riunito in un agile volume, edito da Carocci, i contributi, inizialmente radiofonici, di alcuni illustri lettori della “Recherche”, biografi, professori universitari, romanzieri, tra i quali figurano anche Antoine Compagnon, Jean-Yves Tadié, Julia Kristeva. Ciascuno di loro affronta un tema che gli sta a cuore o una pagina che lo ha colpito, finendo così col condurci lungo i sentieri di questo straordinario romanzo, che Proust iniziò a scrivere intorno al 1909. Il passo che segue è tratto dal capitolo di apertura, intitolato “Il tempo” e scritto da Antoine Compagnon, importante storico della letteratura.

“Una mattina, Marcel Proust, appena risvegliatosi dopo poche ore di sonno e ancora disteso nel proprio letto, dichiara alla fedele governante Céleste Albaret: “Stanotte ho messo la parola ‘fine’. Adesso posso morire”. Quest’aneddoto è riferito nel 1962 da quella che fu anche la sua segretaria nel corso di una trasmissione televisiva di Roger Stéphane, “Portrait souvenir”, che fece conoscere Proust al grande pubblico. Ciò segnò il momento in cui Proust, che aveva faticato a farsi pubblicare, divenne uno scrittore alla portata dei figli del baby boom. Dopo aver attraversato una sorta di purgatorio negli anni Trenta e Quaranta, da quel momento in poi, la sua opera è divenuta accessibile a tutti, presto pubblicata nei tascabili, e tradotta in numerose lingue. Oggi la “Recherche” è entrata a far parte dei classici e si è imposta come un libro fondamentale, sebbene sia, – ed è il più grande elogio che io possa fare – un po’ mostruoso, fortunatamente mancato. Le cose perfette passano di moda. Ma questo libro non somiglia al romanzo d’analisi tipicamente francese, dalla “Principessa di Clèves” a Paul Bourget. E ha suscitato sconcerto, è innegabile. Forse non bisogna avercela poi troppo con gli editori che lo rifiutarono, prima che Proust lo pubblicasse a proprie spese con l’editore Bernard Grasset, sborsando una bella cifra. Proust gli aveva consegnato un mostro di ottocento pagine dattilografate, farcite di fogli scritti a mano e spesso illeggibili, copiati dai suoi domestici, e aggiungeva che sarebbero seguiti uno o forse altri due volumi, non ancora pronti, ma che avrebbero trattato temi scabrosi, come la pederastia. C’è di che scoraggiare”.

coperta guida cerveteri

AA.VV., Un’estate con Proust, Carocci, Roma, 2015.

 

a cura di Francesco Ricci