Silvia Taurië Lombardi, Storie di donne

Silvia Taurië Lombardi, storie di donne, Edizioni Leucotea, Sanremo, 2015

Quanto dura il tempo di un amplesso? Sempre meno di quello di uno schiaffo. Quanto dura il tempo di “baci larghi come oceani”, in cui perdersi e affogare, come quelli che sognava Pier Vittorio Tondelli? Sempre meno di quello di una parola volgare pronunciata dall’unico al mondo che mai avremmo pensato che fosse capace di rivolgercela. Esiste tutta una geografia umana, geografia femminile, nella quale la durata e la memoria di gesti e azioni appare completamente sottrarsi al calcolo dell’orologio (il tempo oggettivo, il tempo geometrico) per acquistare implicazioni e sfumature interiori (il tempo soggettivo, il tempo vissuto). Perché se l’oblio può essere un farmaco per il dolore fisico, non può però alleviare le ferite dell’anima. Queste, infatti, non solo non si cancellano, ma sovente rinascono sulla scia di sensazioni e avvenimenti apparentemente di nessun conto. Eppure. Eppure è sufficiente la vista di un livido sul volto, il rumore di un vaso che cade inavvertitamente dalle nostre mani e si spezza toccando il suolo, un colpo di vento che fa sbattere con violenza la porta, una carezza sconosciuta che ci sfiora i capelli. Voci del presente che riannodano i fili col passato, i quali, quasi fossero impalpabili ponti levatoi, riescono a superare i fossati degli anni trascorsi, delle lunghe sedute di analisi, del tepore ovattato che amiche e amici hanno suscitato attorno a noi, per proteggerci, per salvarci, per guarirci. Ma come non si può vivere per sempre in una serra, così non si può evitare di tornare ad abitare il mondo coi suoi spigoli acuti e coi suoi veleni difficili da riconoscere, perché mescolati al gusto del miele e al sapore dell’assenzio. E così la ferita torna a sanguinare, e così l’angoscia, in un giorno qualunque, torna a inchiodarci contro una parete bianca. E’ questa l’atmosfera nella quale si trovano immerse le protagoniste dei dieci racconti che compongono “storie di donne”, l’ultimo libro di Silvia Taurië Lombardi, che per forza ed essenzialità di scrittura può essere accostato a “L’amore rubato” di Dacia Maraini. Quello che segue è l’incipit del brano di apertura, intitolato “Riunione numero tre”.

“Salgo le scale del circolo a passi lenti e cadenzati. La gamba destra mi fa male ad ogni passo. Dovrei essere già qui, ma sono in ritardo; sono caduta come una scema giù per tre scalini; gli ultimi tre scalini, ovvio. Maledetti. “Signora Carla, tutto bene?”. Ho finto che fosse tutto sotto controllo, ho sorriso alla Signora Sandra che, se solo volesse ne avrebbe un bel po’ da raccontare e, a spalle dritte e petto in fuori, con la dignità della Signora Carla”, sono uscita dall’androne del palazzo. La strada da attraversare. Le macchine che sfrecciavano sull’asfalto bagnato. “Cretino!” Ho urlato all’indirizzo di un SUV nero (o blu), e mi sono ritrovata bagnata dalla testa ai piedi. Un tempo mi piaceva l’odore della pioggia mescolato allo smog. Quando attraversavo questo stradone trafficato che pullula sempre di vita, guardavo a sinistra e poi a destra, incantandomi sul rosso dei fari posteriori delle auto che frenavano in prossimità del semaforo sibillino laggiù in fondo, all’incrocio dove ora han fatto la rotatoria alla francese tanto cara a Siri”.

coperta guida cerveteri

Silvia Taurië Lombardi, storie di donne, Edizioni Leucotea, Sanremo, 2015

 

a cura di Francesco Ricci