Siena e la sua terra: San Galgano, Montesiepi e una spada (vera) nella roccia

Una spada del XII secolo, conficcata in una roccia e identica a quella leggendaria che il giovane Artù avrebbe estratto diventando re, esiste veramente. E’ quella di San Galgano, e si trova nella Rotonda di Montesiepi, immersa nella alta Val di Merse nella parte più a est delle colline Metallifere presso Chiusdino a circa 300 metri s.l.m. tra i fiumi Merse e Feccia.
Poco distante si trova la stupenda abbazia cistercense di San Galgano, un luogo incantato, quasi un pezzo di Bretagna magicamente trasportato in Toscana.

San Galgano_SienaNews_GabrieleRuffoli

Nel 1148 nasce Galgano Guidotti, i suoi genitori avevano lungamente atteso l’arrivo di un figlio e si erano recati in pellegrinaggio alla Basilica di San Michele sul Monte Gargano, in Puglia.
Da questo luogo deriva forse il nome che decisero di dare al bambino. Una volta cresciuto, Galgano diventa cavaliere ma si dà a una vita dissoluta e libertina.
Nel 1180, in seguito a una visione di San Michele, Galgano mette in discussione la sua esistenza e decide di dedicarsi interamente a Dio, vivendo da eremita.
Per simboleggiare l’inizio della sua nuova vita, impugna la spada di cavaliere e la conficca in una roccia, pregando poi davanti all’elsa che si erge come una croce.
Nel 1181 Galgano diventa conosciuto per i suoi miracoli e muore di stenti nello stesso anno. Viene beatificato immediatamente e nel 1185 è proclamato santo da papa Urbano III. Nella chiesa di Chiusdino è conservato il teschio di san Galgano, mentre non si sa nulla del resto del corpo anche se si ipotizza che possa essere stato sepolto vicino alla spada.
I monaci Cistercensi edificarono la Rotonda della Spada nel luogo della capanna dell’eremita, ed eressero dal 1218 la vicina Abbazia.

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Lo studioso Luigi Garlaschelli si é dedicato molto alla storia della spada e spiega che il collegamento tra Galgano e ciclo epico arturiano, che si diffondeva in Europa esattamente in quegli anni, è forse più diretto di quanto si possa pensare.
Per molti anni la spada è stata considerata falsa, finché nel 2001 una ricerca effettuata dallo stesso Garlaschelli dell’università di Pavia insieme a ricercatori di Siena, Padova e Milano hanno dimostrato le sue origini medievali: la composizione del metallo non mostra uso di leghe moderne, e lo stile è compatibile con quello di una spada del XII secolo.

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Le indagini scientifiche condotte dai ricercatori hanno confermato che l’elsa che emerge dalla roccia appartiene a una vera spada, realmente conficcata nella roccia. Confrontando la cronologia della vita di Galgano con quella delle opere del ciclo arturiano, posteriori alla morte del santo, si può ipotizzare che la storia di Galgano sia stata la vera ispiratrice della leggenda di Artù.
Tra l’altro, uno dei cavalieri della tavola rotonda si chiama Galvano, possibile mutazione di Galgano. Un’altra coincidenza si ritrova in uno degli aneddoti attribuiti al santo: Galgano fece un sogno nel quale incontrò Gesù e i dodici Apostoli riuniti intorno a una tavola rotonda, e vide il santo Graal. Dopo la morte di Galgano, intorno a Montesiepi si susseguirono molti episodi misteriosi.
Anzitutto la costruzione dell’Eremo, una cappella rotonda: struttura anomala, perché nel Medioevo la forma circolare rappresentava un simbolo di costruzione diabolica. Il simbolo del cerchio apparteneva al mondo pagano e ai templi romani.

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Inoltre, la volta della cappella è dipinta con cerchi concentrici alternati bianchi e neri che ricordano molte decorazioni celtiche.
La storia di Galgano potrebbe essere stata portata da Montesiepi in Bretagna ad opera di menestrelli e cantastorie, e 20-25 anni dopo la morte di Galgano potrebbe avere ispirato la stesura del primo ciclo del Graal.
Infatti in molte biografie di San Galgano, compresa la Vita Sancti Galgani de Senis si accenna a contatti che il santo avrebbe avuto con l’eremo di San Guglielmo di Malavalle (Castiglione della Pescaia in provincia di Grosseto). Molte sono le affinità tra i due personaggi: entrambi cavalieri, entrambi decisero di votarsi alla vita eremitica abbandonando la milizia terrena, entrambi hanno legami con la materia arturiana. Guglielmo, secondo una tradizione popolare antica in certi comuni della zona (Castiglione della Pescaia, Tirli, Buriano, Vetulonia) sarebbe in realtà Guglielmo X d’Aquitania, padre di Eleonora alla cui corte operò Chrétien de Troyes, autore de Le Roman de Perceval ou le conte du Graal nel quale compare per la prima volta il Santo Graal.
Ma oltre a tutto questo il “mito” di Galgano si é sempre fatto sentire fin da subito e una leggenda narra che durante una sua assenza, per un pellegrinaggio a Roma, la spada subì un tentativo di furto e venne forzata da tre ladri, che non riuscendo nell’intento di sfilarla, la ruppero e l’abbandonarono (la spada è infatti realmente spezzata). Il castigo divino non perdonò l’atroce misfatto e raggiungendoli, uno venne fulminato all’istante, un altro annegato, mentre il terzo venne aggredito da un lupo che gli tranciò entrambe le mani (nell’eremo, in una bacheca è possibile vedere le ossa delle mani del ladro), ma venne risparmiato all’ultimo momento perché, pentito, invocò il perdono di Galgano.

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Al ritorno Galgano trovò la spada spezzata, se ne dispiaque molto, ritenendosi responsabile dell’accaduto, dato che si era allontanato. Ma intervenne la voce divina che gli disse di unire i pezzi, così facendo la spada così si ricompose miracolosamente.
Per quanto riguarda la bellissima Abbazia senza tetto, circola da sempre una “bufala” ormai consolidata nell’immaginario comune grazie anche a trascrizioni sbagliate e a storie inventate che narrerebbe la vendita del tetto della stessa Abbazia dovuta al fatto che fosse di piombo. In realtà il tetto in piombo era quello dell’eremo di Montesiepi, effettivamente preso dai Senesi per costruire armi e proiettili durante la guerra contro Firenze.
Mentre la storia dell’abbazia é un altra e tratta soprattutto di degrado e di scarsa manutenzione. Nel 1577 dopo quasi 300 anni dalla sua nascita furono avviati dei lavori di restauro, ma furono interventi inutili che non riuscirono minimamente ad arrestate il progressivo degrado. Nella relazione fatta nel 1662 si legge che “La chiesa non può essere tenuta in peggior grado di quello che si trova e vi piove da tutte le parti, il tetto sta crollando”.

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Nella prima metà del Settecento il complesso risultava ormai crollato in più parti e quelle ancora in piedi lo erano ancora per poco. Infatti nel 1781 crollò quanto rimaneva delle volte e nel 1786, dopo che durante una notte tempestosa un fulmine lo aveva colpito, crollò anche il campanile, si salvò la campana maggiore, opera del Trecento, ma per poco, infatti pochi anni dopo venne fusa e venduta come bronzo. Negli anni seguenti l’abbazia venne trasformata addirittura in una fonderia, fino a che nel 1789 la chiesa fu definitivamente sconsacrata e abbandonata. I locali del monastero invece diventarono la sede di una fattoria e vennero parzialmente restaurati già nei primi decenni del XIX secolo.

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Verso la fine dell’Ottocento l’interesse verso il monumento riprese. Si iniziò ad ipotizzare il restauro, si fece un rilievo delle strutture architettoniche e tutto l’edificio fu al centro di un corposo studio storico al quale si accompagnò una campagna fotografica eseguita dai Fratelli Alinari di Firenze.

 

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Nel 1924 si iniziò il restauro eseguito con metodo conservativo ad opera di Gino Chierici, il quale si ispirò ai principi di John Ruskin padre del restauro conservativo. Non furono, quindi, realizzate ricostruzioni arbitrarie o integrazioni: si decise semplicemente di consolidare quanto rimaneva del monastero.

Articolo e foto di Gabriele Ruffoli