Se questa ripresa dimentica l’uguaglianza (delle famiglie e dei risparmiatori)

E’ stata, e forse lo sarà ancora per un altro (breve) periodo, una guerra.
Una guerra combattuta a suono di “spread”, di “Basilea”, di “Cor tier”, di “default” e di “bail in”.
Una guerra che ha riportato tragicamente in linea una speculazione, quella finanziaria, che ha alimentato le pance di pochi grandi investitori a scapito di chi, ignaro, si è trovato a veder sfumare in pochi attimi i risparmi o i programmi di una vita.
Licenziamenti, riorganizzazioni e crolli in borsa hanno in pratica riportato ai valori primordiali moltissime realtà economiche e la bolla speculativa creatasi con quella economia virtuale ha in pratica segnato definitivamente il passo.
Già: tutto normale. Corsi e ricorsi storici di Vichiana memoria. Si crea qualcosa, si sfrutta e si distrugge: ciclicamente, in maniera scientifica.
Ma qui vi è di più perchè in tema di finanza sorgono due ordini di questioni ( e di problemi): il primo è capire chi, fra risparmiatori e speculatori, ha pagato il crack il secondo come programmare il futuro della finanza per non solo ristorare chi ha rimesso soldi – e, spesso, lavoro- ma anche per creare condizioni di più logica distribuzione e tutela della ricchezza.
Non vi è dubbio che i maggiori scempi siano stati perpetrati contro i risparmiatori, le famiglie e le piccole aziende: loro hanno pagato, con esborsi diretti (perdite su azioni, obbligazioni o altri strumenti finanziari) e indiretti (gli istituzionali che hanno perso- stato, enti o altri soggetti finanziari- hanno ribaltato sui contribuenti i costi del default) il prezzo di questi crolli verticali: l’intervento dello stato, che è doveroso anche per tutelare il sistema, sottintende l’applicazione di nuove tasse o imposizioni così come le crisi bancarie, di fatto bloccando gli impieghi, hanno fatto frenare in maniera clamorosa il lavoro di pmi e di artigiani.
Ciò premesso occorre guardare al futuro riprogrammando il settore finanziario in maniera tale che possa essere motore anche di ridistribuzione della ricchezza con tassazioni adeguate agli utili che persegue, con interventi a favore dei risparmiatori e delle medie e piccole aziende e con sgravi fiscali e altre manovre di detassazione a favore della clientela “familiare”.
Ecco: un fine anche sociale della finanza sarebbe un bell’obiettivo per un governo lungimirante e di uguaglianza nazionale.
Spero lo faccia, chiunque andrà a governare.
Per sempre e sempre, viva l’Italia.
Luigi Borri