L’incredibile scoperta degli squali a Siena

Se pensavate che il patrimonio faunistico toscano e senese comprendesse solamente cinghiali, lupi, daini, caprioli, istrici che da sempre popolano i boschi e le colline dei nostri territori, da oggi potete aggiungere un nuovo esemplare: lo squalo. Avete capito bene: il più temuto predatori dei mari, l’esemplare marino che siamo abituati a vedere nei film quando le cose si mettono male, è a tutti gli effetti parte delle ricchezze naturalistiche di Siena: e la scoperta degli squali risulta essere la prima non solo in Italia ma nell’intero bacino del Mediterraneo.
A partire dal 2009, infatti, numerosi rinvenimenti fossili sono stati attribuiti a una particolare specie di squalo, il Chlamydoselachus anche detto squalo dal collare. In particolare il territorio di Castelnuovo Berardenga ha restituito centinaia di denti fossili appartenenti a questa specie marina vissuta nel periodo del tardo Pliocene (circa 3,2 – 2,8 milioni di anni fa).

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Le analisi paleontologiche condotte da un’equipe di ricerca, coordinata dal professor Franco Cigala Fulgosi dell’Università di Parma, ha suggerito che i territori senesi milioni di anni fa altro non erano che un ambiente di mare profondo, il cui fondale era caratterizzato da acque molto fredde, come nei moderni contesti oceanici, habitat naturale dello squalo dal collare.

 


Ma l’aspetto più sensazionale di queste ricerche è che sono emerse nuove evidenze a testimoniare la presenza di un’ulteriore specie di squalo che popolava i “nostri” fondali, ovvero il Lamna nasus meglio noto come smeriglio. Il reperto di Castelnuovo Berardenga rappresenta il primo rinvenimento di un fossile di Lamna sul territorio italiano e nell’intera regione mediterranea. La sorprendente scoperta si deve alla collaborazione tra il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa e il GAMPS (Gruppo Avis Mineralogia Paleontologia) di Scandicci che hanno analizzato e studiato il materiale raccolto in anni di ricerca a Castelnuovo.
La Terra un tempo era molto diversa da come la conosciamo oggi, sia dal punto di vista geografico-territoriale che dal punto di vista faunistico-naturalistico. Tramite questi reperti fossili i paleontologi hanno la possibilità di indagare il passato e la storia della vita sulla Terra. Infatti, insieme alle terre emerse sono giunte alla luce anche numerose testimonianze dell’ecosistema marino del passato e prove di come si è arrivati all’attuale conformazione geografica e faunistica.

 


Lo smeriglio, infatti, ad oggi popola le acque temperato-fredde di entrambi gli emisferi, mentre è molto raro nel Mediterraneo. “Il Lamna nasus non era mai stato trovato nel nostro mare, dal punto di vista scientifico è una scoperta sensazionale: si tratta di un indicatore (marker) di mare freddo e ci mostra come il clima abbia subito una notevole oscillazione nel corso di poche migliaia di anni” afferma Simone Casati, presidente del Gamps.
Insomma i reperti di Castelnuovo sono un’importante testimonianza della glaciazione artica avvenuta intorno al tardo Pliocene nel Mediterraneo e che avrebbe portato alla scomparsa di alcune specie marine tropicali (come il Lamna nasus) e all’ingresso di esemplari tipici di acque temperato-fredde (come lo squalo dal collare).


Se volete vedere dal vivo questi importanti reperti fossili non dovete far altro che recarvi a Badia a Settimo (Scandicci), dove il Gamps (un’associazione senza scopo di lucro, costituita per lo più da appassionati della mineralogia e della paleontologia) ha organizzato una mostra. Oltre agli squali Lamna e Chlamydoselachus, è possibile osservare anche lo scheletro di balena fossile più completo mai ritrovato in Europa, il pesce sega Anoxypristis, il delfino Etruridelphis e tanti altri esemplari marini del Pliocene che popolavano l’antico mare di Toscana.


Dunque, in un’epoca di duro inquinamento antropico e di repentini cambiamenti climatici, gli studi dei paleontologici concentrati in bacini ricchi di testimonianze come le colline toscane, non solo rappresentano un’eccezionale opportunità di redigere la storia biologica del Mediterraneo, ma anche una chiave di volta per tentare di porre un argine al riscaldamento globale che sta cambiando in maniera innaturale i nostri territori, i nostri fondali e la nostra fauna.

 

Debora Lapenna