Le storie del manicomio – La cordata dei Bemporad

Nell’agosto del 1909 si ricovera alle Ville di Salute del San Niccolò il cavaliere professor Nicodemo Bemporad.
È a suo modo un personaggio, componente di una famiglia che ha spesso manifestato attitudini scientifiche. Nicodemo, infatti, dopo essersi laureato nel 1863 alla Normale di Pisa in Scienze, è diventato professore di Matematica e dopo aver insegnato in giro per l’Italia, prima a Ferrara poi ad Ascoli, si è infine stabilito a Siena dove ricopre la cattedra di matematica presso il Regio Liceo. Lega il suo nome ad un testo di insegnamento sulla geometria dal titolo: “Elementi geometrici di Euclide messi sotto altra forma con varie aggiunte, e proposti agli studenti delle scuole secondarie” (in quattro volumi) che viene spesso ricordato anche dai successori e per il quale riceve regolari diritti d’autore. Ma nella stessa famiglia, anche se in generazioni successive a quella di Nicodemo, altri dimostreranno ingegno matematico, Giulio e Azeglio saranno due importanti astronomi, uno dirigerà l’Osservatorio di Capodimonte e l’altro quello di Catania. Le loro biografie con i relativi curriculum sono presenti anche nell’Enciclopedia Treccani.


Il nostro Bemporad, figlio di Giuseppe, è nato nel 1838 e si presenta, al momento del ricovero, con una corporatura pesante, rari capelli grigi ed una imponente barba che ne sottolinea l’aspetto austero. Al momento del ricovero ha pertanto 71 anni e non sta bene probabilmente da qualche anno. Il ricovero alle Ville di Salute ha un po’ il sapore dell’ultima spiaggia e effettivamente lo diventerà. Si è probabilmente accentuato lo stato di sclerosi che da qualche tempo ne aveva ottenebrato la mente, forse anche per un certo abuso di alcol.
Quando il medico lo visita referta accenni di negativismo, è mutacico, “concentrico” (che credo voglia significare concentrato solo su se stesso). Ma il vero problema con cui da tempo combatte è un delirio di gelosia nei confronti della moglie, Lauretta Segre, che, secondo lui, gli è infedele tanto che ormai convive con un altro di cui conosce nome e cognome. Sostiene di essersi separato legalmente da lei e non la vuole neppure vedere, come non vuole incontrare neanche altri componenti della sua famiglia, neppure la figlia Sofia che è a lui particolarmente affezionata.
Sente le voci dei suoi nemici che tramano contro di lui, tanto che nella sua stanza passa intere notti in piedi dietro la porta, pronto con una seggiola a difendersi se quelli si presentassero. Ha a volte mostrato qualche idea di suicidio ma è soprattutto quasi del tutto insonne e non si alimenta da tempo per paura di essere avvelenato. Tanto che viene alimentato con un sondino. La situazione non pare migliorare nonostante passino i mesi e gli anni. Il delirio comincia a coinvolgere anche i medici che ormai sono entrati nella congiura contro di lui. Ma nel 1911 (sono passati quasi due anni di ricovero) accetta di rivedere la moglie, da cui in realtà non si è mai separato. La sua situazione psicopatologica è molto variabile, a volte è affabile e disponibile, a volte invece accusa i medici di fiaccarlo con i raggi roentgen o con mezzi elettrici. Poi arriva a pensare che i lenzuoli del suo letto siano i sudari dei cadaveri presenti in istituto: di questi sente le esalazioni ed inoltre è convinto che anche l’acqua utilizzata per il bagno sia la stessa con cui sono lavati i morti. Riprende i contatti con la moglie in modo continuativo ma ogni visita è un disastro: litigi e bisticci, accuse di tradimento. Diventa sempre più sospettoso e diffidente, vuole scegliere da solo le pietanze da mangiare.


Una nota a margine sulla gestione di questa situazione: si può osservare come il livello di tolleranza con cui il suo disturbo viene gestito dall’istituzione sia stato direttamente proporzionale alla retta che la famiglia pagava per tenerlo là. La sua è una retta di seconda classe come si conviene ad uno che, come è riportato nella modula informativa, “ha il necessario”.
Pare il declino ormai irreversibile di una mente brillante, che in passato era stata in grado di prestazioni efficienti, specialmente nel campo della logica matematica. La fine sopraggiunge oltre che per l’arteriosclerosi ingravescente anche per problematiche renali e così nel febbraio del 1915 muore senza essere mai uscito dal San Niccolò.
Una storia come tante, mi direte. Un anziano che perde il cervello per la sclerosi e per l’abuso di alcol che tra l’altro porta spesso con sé il delirio di gelosia. Infatti il declino fisico e l’abuso alcolico portano spesso all’impotenza che in un misto di senso di colpa e di depressione viene spesso ribaltata come una proiezione sulla coniuge: non sono io che non sono più capace, in realtà è lei che non è più interessata a me, perché ha trovato un altro. In fondo tutto abbastanza chiaro se non fosse che questa storia è caratterizzata da un seguito familiare drammatico.
Ho già accennato alla figlia prediletta Sofia, donna che viene definita intelligente, istruita, stravagante, sposata con un Basola, un altro componente della comunità ebraica.
La donna probabilmente non sopporta di vedere il padre in quelle condizioni e di assistere al suo declino, lui che è stato per tanti anni il punto di riferimento della famiglia e forse di lei in particolare. Questa cosa è così insopportabile che la sua mente “esplode” e viene pertanto ricoverata anche lei alle Ville di Salute. Il suo ricovero è solo di due mesi successivo a quello del padre, anche se in cartella si dice che le sue stranezze sono cominciate già da qualche anno ed hanno già motivato un precedente ricovero psichiatrico. È una donna di 42 anni di corporatura robusta, viso squadrato, naso grosso, capelli ormai grigi e giunge al ricovero per un incoercibile stato di confusione mentale e un atteggiamento maniacale molto grave. È aggressiva e tende a lacerare i lenzuoli del suo letto, sparpaglia tutto per terra e dorme così sul materasso, rompe i vetri della finestra. È incapace di attenzione, ci sono senza dubbio allucinazioni ma non è quello che costituisce il punto centrale del suo malessere, come del resto le idee deliranti che risultano confuse e poco sistematizzate, a differenza di quelle di suo padre.
C’è un termine un po’ desueto che forse raccoglie molti aspetti del suo stare male: amenza.


L’amenza (dal latino amentia) è una grave sindrome psichica, caratterizzata da frammentazione massima dei contenuti di coscienza, il cui quadro può presentarsi nel corso di diverse forme psicopatologiche. Può essere rappresentata da un’intensa agitazione psicomotoria, incapacità di orientamento nello spazio e nel tempo, ansia, disturbi della memoria e idee deliranti; si può evidenziare con turpiloquio, grida immotivate, canti, stereotipie e reazioni di difesa paniche. In sostanza è come se la mente sparisse, si eclissasse, lasciando emergere comportamenti scoordinati e primitivi.
Lo stato di amenza è drammaticamente sottolineato dal comportamento di Sofia che per lungo tempo non mangia e non dorme, non si lava, si imbratta delle sue stesse feci, rifiuta ogni cura e tratta male tutti quelli che si avvicinano alla sua camera. Sta per intere giornate nuda nella sua stanza, disordinatissima e sporca. Questo stato di cose si prolunga per molto tempo, senza modificarsi mai durante il ricovero in maniera evidente, a riprova che non si tratta di uno stato maniacale. In genere quest’ultimo “brucia” del suo fuoco per qualche settimana o per qualche mese, poi si acquieta.
L’amenza viene spesso associata a sindromi tossiche o infettive ma qui nulla del genere risulta. Ed allora mi permetto di lanciare un’ipotesi interpretativa. È più suggestivo pensare che, venuto in qualche modo meno il punto di riferimento paterno, la sua mente con le relative capacità di ordinare la realtà si sia come persa, facendola regredire ad un comportamento quasi primitivo. Nonostante i frequenti aggiornamenti nel diario clinico questa situazione di gravissima patologia non cambia mai fino a quando compaiono delle crisi convulsive epilettiformi che nel giro di poco tempo la portano a morte all’età di 46 anni. Questa sopraggiunge nell’aprile del 1913. Suo padre, come ho già detto, morirà quasi due anni dopo.
È interessante notare come, almeno per quello che si legge in cartella, dei due contemporanei ricoveri (quello di Nicodemo e quello di Sofia) non si fa alcun cenno nelle rispettive cartelle. Quando muore Sofia nessuno avverte Nicodemo ed anche prima di quella data nessuno pensa di organizzare un incontro tra loro, anche se è difficile pensare che non abbiano mai avuto reciproche notizie visto che tra l’altro erano ricoverati a pochi passi l’uno dall’altra. Eppure Sofia, nata quando Nicodemo (laureatosi a 25 anni) aveva appena 29 anni, è con ogni probabilità la primogenita ed unica figlia, forse così legata a lui da non sopportare il suo invecchiamento e la sua decadenza.

Sono invece presenti lunghi carteggi da cui si comprende che entrambi, dopo un paio d’anni di ricovero continuativo, sono stati sottoposti ad un provvedimento di interdizione, proposto d’ufficio dal Pubblico Ministero. A questo provvedimento si intuisce che siano sottostanti problematiche di tipo patrimoniale che non sembrano essere state mosse dalla moglie che si salva dal provvedimento, proposto anche per lei, per un pelo. Forse altri parenti hanno stimolato quella richiesta.

Non sono un esperto di montagna, ma si legge spesso che incidenti gravi succedono quando uno degli scalatori, legato in cordata agli altri, scivola portando con sé nel baratro qualche altro compagno.
Sarebbe interessante approfondire in qualche modo questa storia trovando altri intrecci che possano confermare o smentire la mia ipotesi, ma secondo me ai Bemporad, sul piano mentale, succede qualcosa di simile e lo scivolone di Nicodemo spinge nell’abisso anche Sofia.

Andrea Friscelli