L’attacco di Draghi a Trump e il difficile pareggio con il presente

Non era una cosa scontata né esistevano presupposti confortanti, ma Mario Draghi un po’ di bene all’Italia lo vuole: e il suo mestiere lo sa fare bene, eccome.

L’attacco a Trump ed alla concezione americana del commercio, fatta di dollaro debole, dazi e altre amenità, tese solo a far crescere l’economia industriale a stelle e strisce, in barba alla politica di rigore della UE mi è piaciuta molto. Come interessanti sono state le dichiarazioni in merito alla impossibilità di rialzare i tassi.

Cosa è successo in pratica nei rapporti USA – UE e cosa voleva dire Draghi? Quale il messaggio all’economia mondiale?

Al di là dei paroloni e delle disquisizioni macroeconomiche delle quali si riempiono la bocca molti professori il monito di Draghi si sostanzia in un “alt” a Trump dall’usare svalutazioni competitive e altri mezzucci per minare la stabile (anche se in lenta crescita) ripresa economica della UE..

Usare il cambio in maniera distorta, così come aveva introdotto il segretario Steve Mnuchin in un discorso dove argomentava la positività della debolezza del dollaro, non è fattore di crescita ma di mera speculazione commerciale: un po’ come succedeva con la lire negli anni ’70 ed ’80 quando si impoveriva la nostra nazione rispetto alle altre per favorire l’industria ed il mercato.

Draghi questo lo ha detto bene ed a chiare note, sottointendendo anche il fatto che le banche statunitensi non sono messe, in media, molto meglio di quelle europee e che la loro stabilità era determinata in larga parte dagli investitori del far east che ne detengono impegni ed obbligazioni.

Un atto di forza, di durezza e di responsabilità che nessun politico ha avuto il coraggio di fare.

Per questo, personalmente, vedrei bene Draghi, insieme ad altri soggetti decisi e duri, a capo del paese.

Politica italiana permettendo.

Viva il tricolore.

Luigi Borri