La notte in cui crollò la torre – sesto capitolo

La notte in cui crollò la Torre, una fiction attraverso la quale si raccontano le mutazioni a cui il sociale in genere, e quello che si occupa di psichiatria in particolare, sta andando incontro in questo periodo di crisi. Il tentativo dell’autore è quello di dare un piccolo spaccato di come si sia sviluppata ai giorni nostri quella parte di assistenza psichiatrica che si interessa di reinserimento lavorativo e che si è sviluppata soprattutto attraverso la cooperazione sociale. Questo movimento, molto presente anche a Siena, e che ha alle spalle diversi decenni di storia, sta vivendo adesso un momento critico e rischia attualmente di subire mutazioni importanti se non addirittura di finire. È naturalmente una storia inventata, almeno nei personaggi e nei fatti raccontati ma molto verosimile. È invece ambientata in luoghi conosciuti e familiari per molti di noi: la valle di Porta Giustizia. E una storia che cerca anche di mescolare le vicende di fantasia con la crisi generale di questi anni e con la crisi di Siena in particolare, raccontata in un modo metaforico e surreale.

 

CAPITOLO 6 – Mamadou

Mamadou ha cinquantanove anni, è nero e viene dal Senegal.
Era partito da Dakar giovane e pieno di speranze. La vita si annunciava carica di promesse, pur provenendo da una famiglia povera di griot (la casta dei cantastorie). I suoi avevano scelto di puntare su di lui tra i numerosi figli e di mandarlo a studiare in Europa perché prometteva bene in molti campi. Aveva frequentato bene le scuole, era portato per lo sport, era simpatico a tutti e non faceva fatica a entrare in rapporto con gli altri.
Il programma era di iscriversi alla facoltà di architettura e urbanistica di Aix en Provence. Magro, quasi filiforme dotato di buona coordinazione e scatto bruciante, dopo poco tempo che era arrivato in Francia qualcuno lo aveva notato e gli aveva proposto di giocare a calcio e ben presto lo studio fu rallentato dall’attività sportiva. Gli avevano dato la maglia numero 7 in una squadra semiprofessionistica del circondario. Così ben presto cominciò ad essere conosciuto, riconosciuto, invitato alle feste e ben inserito nella società del luogo. Alle feste si muoveva bene, ballava con il ritmo che si portava dietro dal suo paese. Però in quelle occasioni spesso si beve e per lui, pur musulmano, la conoscenza più assidua dell’alcool cominciò a quel modo.
Un brutto infortunio al ginocchio destro, rimediato in una partita, gli stroncò la carriera sportiva e allora la sua vita prese ancora un’altra strada, cominciò a fare il disk jockey in giro. Soprattutto nel periodo estivo, in Costa Azzurra, molti ricercavano quel giovane nero che aveva giocato a calcio a buoni livelli, ballava bene, era simpatico. A metà degli anni settanta gli studi erano ormai nel dimenticatoio e anche la sua famiglia stentava a trovarlo. Le lettere si accumulavano sempre all’indirizzo sbagliato, quello che aveva appena lasciato. La mamma ed i fratelli ci provavano anche col telefono, ma lui non c’era mai, era sempre occupato in qualche altra cosa. Così si perse anche la morte del padre, notizia che venne a sapere quando tutto era già finito da un pezzo.
Da casa quindi non aveva più sostegni, aveva bisogno di soldi per vivere e allora sfruttando le amicizie francesi era riuscito a metter su un commercio di dischi di musica pop. Nel frattempo si era spostato dalla costa Azzurra in Italia. Per un certo periodo negli anni 80, a Genova, il suo negozio di dischi era uno dei più ricercati. Attraverso quell’attività conobbe quella che sarebbe diventata sua moglie. Lei era di Arezzo e alla fine lo convinse a trasferirsi nella città toscana per lavorare nel negozio dei suoi. Lui però voleva mantenersi qualcosa di suo e continuò con un import export di prodotti africani.
Le cose con la moglie cominciarono a non andar bene, Mamadou non riusciva a reggere un rapporto alla pari con lei e, in genere, era in difficoltà con tutte le figure femminili. Beveva sempre più pesantemente. Dopo qualche anno il matrimonio, il lavoro in negozio, l’import export, tutto si sfasciò e Mamadou si ritrovò senza nulla in mano. Dormiva sotto i ponti e beveva ormai in maniera patologica.
La sua vita partita con mille promesse aveva finito per approdare a ben altri lidi. Presto entrò nel giro assistenziale, ma vergognandosi di farsi vedere in giro come un barbone a Arezzo, dove pure qualche tempo aveva vissuto civilmente, si era spostato a Siena. Dopo un periodo di cura e disintossicazione al Sert era stato indirizzato alla cooperativa per riprendere a lavorare, a fare qualcosa.
Mamadou, dopo il periodo più incandescente della sua dipendenza alcolica, si era ripreso, era anche riuscito con coraggio a fare fugaci ritorni a casa, a salutare, certo non da vincitore, i suoi.
Di quel paese, di quella cultura si portava dentro tracce indelebili. In Senegal, paese in maggioranza musulmano, vige una cultura fortemente maschilista. Laggiù le donne devono occuparsi di tutto in casa, se un uomo fosse visto a sbrigare faccende domestiche sarebbe subito tacciato di essere un perdente, un fallito, forse addirittura un “frocio”.
Per lui quindi adattarsi ai lavori che la cooperativa gli proponeva, era stato un po’ duro. Era stato utilizzato come lavapiatti, come custode, come operaio generico. Lavorava con un impegno medio basso, portandosi dentro un rancore sordo perché non era questo che la vita gli aveva fatto intravedere nei primi anni europei. Anche dal punto di vista economico la sua situazione non era certo brillante.

Quel lunedì mattina è con Simone a falciare l’erba. Su quel compagno di lavoro, lento e un po’ tonto, non si può appoggiare tanto, il maggior carico sarebbe toccato a lui e già questo lo rende nervoso. Però – pensa all’improvviso – Simone potrebbe lo stesso servire a qualcosa. Ha bisogno di soldi, un bisogno cronico, ma che in quei giorni d’inizio mese diventa un po’ più forte per via dell’affitto. Sa che il lunedì è il giorno dove in cassa ci sono più soldi, ci sono gli incassi del fine settimana del ristorante dove aveva fatto il lavapiatti e se vuole provarci quello è il giorno giusto. Come aveva fatto qualche settimana prima quando la sua destrezza aveva fruttato solo 50 euro, ma insomma…tutto fa brodo.
Ma Mimma, quella stronza, quella donna che gli dà gli ordini, e gli dice cosa fare e dove andare e a volte perfino lo rimprovera, l’aveva intuito e lo puntava da tempo. Se vuole tentare deve trovare un altro modo.
– Senti Simone – comincia – ma tu a soldi stai bene?
– Scherzi? – risponde Simone, dopo essersi fatto ripetere due volte la domanda.
– Allora perché non ci organizziamo in qualche modo?
– E cioè? – Simone titubante
– Stamani i soldi in ufficio ci sono, noi stiamo a lavorare là vicino al vialetto d’ingresso, e vediamo il movimento. Quando c’è uno spiraglio, tu entri e poi facciamo a metà di quello che riesci a prendere, io intanto ti copro.
– Ma perché io? ma vacci te dentro, se sei tanto coraggioso!! E poi chi ti dice che i soldi siano lì per noi?
– No, no, noooo, io no, proprio no, perché quel cazzo di Mimma mi ha puntato e mi tiene d’occhio, mi pizzicherebbe di sicuro, di te invece nessuno teme. Che ne so se ci sono i soldi, ma è lunedì e un po’ di grana gira di sicuro, e se non c’è nulla, pazienza …
Poi il lavoro comincia, con i decespugliatori accesi non possono parlare, ma nelle soste Mamadou insiste con Simone e dopo averlo “lavorato” ben bene, sente di averlo convinto, gli dirà lui qual è il momento buono.

Verso gennaio, però, le crepe erano diventate evidenti a molti, erano raggruppate nei contrafforti dei merli, là dove la Torre cambia colore, e facevano in modo che la distanza fra i merli stessi si fosse quasi allargata. Pochi ormai salivano volentieri lassù e anche se nessuno lo diceva e tanto meno faceva qualcosa, era come se tutti si aspettassero a breve qualche guaio.
Certo non così grosso come accadde in quella ventosa notte di mezz’inverno.

Andrea Friscelli

ANDREA FRISCELLI È NATO A SIENA, DOVE HA STUDIATO AL LICEO PICCOLOMINI E SI È POI LAUREATO IN MEDICINA NEL 1974. SPECIALIZZATO IN PSICHIATRIA, HA LAVORATO NEL SERVIZIO PUBBLICO FINO AL 2001, QUANDO SI È DIMESSO PER SEGUIRE A TEMPO PIENO LE VICENDE DELLA COOPERATIVA LA PROPOSTA CHE HA CONTRIBUITO, INSIEME AD ALTRI, A CREARE. HA PUBBLICATO PRESSO L’EDIZIONI IL LECCIO “DI STOFFA BUONA” (NOVEMBRE 2011) E “NELLA CRUNA DI UN AGO” (DICEMBRE 2012).PRESSO BETTI EDITRICE INVECE HA PUBBLICATO “L’ORTO DE’ PECCI E LE SUE STORIE” (SETTEMBRE 2014) E “LO SPLENDORE NELL’ERBA, LA GLORIA NEL FIORE” (DICEMBRE 2015)