La notte in cui crollò la torre – capitolo 13

Ultimo episodio, con spunti di riflessioner, per La notte in cui crollò la torre,  fiction attraverso la quale si raccontano le mutazioni a cui il sociale in genere, e quello che si occupa di psichiatria in particolare, sta andando incontro in questo periodo di crisi.  Ambientata in luoghi conosciuti e familiari per molti di noi: la valle di Porta Giustizia. E’ una storia che ha parlato di crisi, anche la crisi di Siena, in un modo metaforico e surreale.

 

CAPITOLO 13 – Riflessioni finali

Se voglio tirar fuori da un pozzo chi c’è caduto, devo necessariamente essere fuori da quel pozzo, altrimenti mi sarà impossibile operare nel senso voluto. Stabilito questo come dato di partenza, ci possiamo però chiedere cosa succede se queste condizioni variano durante le operazioni di salvataggio. Se chi sta fuori dal pozzo durante il salvataggio, vi precipita dentro, magari per un terremoto o per una manovra sbagliata, che succede? Che cosa possiamo ipotizzare? Forse le finalità filantropiche cambieranno, pervertendosi in modalità repressive ed aggressive.


Tornando alla metafora, ognuno penserà per sé e guidato da un fisiologico istinto di sopravvivenza, cercherà di salvare prima di tutto sé stesso, (i santi o i martiri sono esclusi da questo ragionamento), magari mettendo i piedi sopra la testa di quelli che fino a poco prima aveva intenzione di salvare.
Come la piccola storia che ho raccontato dimostra, a volte è sufficiente un “come se” al posto di un fatto vero per innescare timori, processi e dinamiche. In questo particolare momento storico sociale siamo così impauriti e orientati al peggio che ogni ombra diventa verità, o come si dice adesso una “post verità”. Ma poi anche quando la verità è ristabilita, non è così facile tornare esattamente allo stato anteriore. Quando certe cose si sono dette, quando certi rapporti si sono sciupati anche solo per un “come se”, il film non si riarrotola perfettamente all’indietro e questo forse ci dovrebbe far diventare più cauti e riflessivi, qualità che nell’attualità sono diventate merce rara.
Uscendo dall’apologo quasi evangelico, sto cercando di spiegare, a me stesso prima di tutto, quello che ci possiamo aspettare nel campo del lavoro sociale (ma penso che il ragionamento sia valido anche per molti altri settori) in questo lungo, perdurante momento di crisi.
Il ragionamento fatto può farci prevedere che all’interno di una cooperativa sociale (come di ogni altra organizzazione con scopi simili) lo stato dei rapporti si vada deteriorando, la capacità d’inserimento e di riabilitazione attraverso il lavoro vada peggiorando, che insomma tutta la vicenda proceda verso una progressiva perversione dei propri scopi.
Allora, sotto i colpi della crisi economica e del rischio della perdita del lavoro, ciò che prima si riusciva ad accettare (lentezze, incapacità, svogliatezze, ecc.) diventerà insopportabile.
La bonomia che si credeva naturalmente connaturata a certe persone lascerà il campo a visioni più stringenti e maliziose, emergeranno sempre di più sentimenti negativi che magari nessuno credeva di avere dentro.
Da questo deterioramento non sarà facile, anche una volta superata la crisi, riemergere. Perché, se i conti si possono rimettere a posto, i rapporti umani, le sensazioni, la stima di sé sono di una manutenzione molto più complessa e difficile e quando si rovinano, spesso, non si rimediano più.

Forse avrei dovuto scrivere un saggio per spiegare meglio quello che intendo, invece ho pensato a questo racconto. La storia che ho raccontato, completamente inventata, ma verosimile, illustra narrativamente quello che cerco di dire nei righi soprastanti, disegnando uno scenario di deterioramento di quel patrimonio di rapporti umani che costituisce, a mio avviso, la vera ricchezza e specialità di una cooperativa sociale che meriti questo nome.
Con la speranza che queste riflessioni servano a metterci sull’avviso e ad evitare i rischi peggiori, s’intende!
Naturalmente il fatto che la storia sia ambientata nella nostra città non è casuale.
Non ci vuole molto a vedere che la nostra gloriosa Torre del Mangia gode ottima salute ed è più bella che mai. Proprio in questi giorni è sottoposta ad una attenta manutenzione da parte degli organi tecnici del Comune. Detto questo è chiaro che quel monumento ha significato in sé molte cose, diventando il simbolo massimo di Siena e dell’orgoglio di una vecchia “Repubblica”.
Allora, scusandomi con tutti per aver solo pensato un disastro simile, quando invece la Torre sta bene, confermo però che tutto ciò che quel simbolo ha rappresentato, sta ancora piuttosto male, anzi si può dire che, certo non in metafora, molte di quelle “cose” sono crollate e che, per ora, la fase di ricostruzione non sembra ancora davvero cominciata.


Ultima informazione: ho scritto questo breve racconto circa due anni fa, ma quando ha trovato spazio, per riempire uno spazio di tempo vuoto, prima nel blog “Salviamo il Conolly” e poi in Siena News, mi è sembrato che fosse ancora piuttosto attuale, segno che quella crisi che vi è rappresentata è ancora tra noi.
Per finire voglio ringraziare Siena News e il suo direttore Katiuscia Vaselli in particolare, per avermi dato la possibilità di far conoscere questa storia al suo pubblico e poi sono grato naturalmente a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggerla.
Alla prossima.

Andrea Friscelli

l’autore, lo psichiatra Andrea Friscelli