Il mulino maledetto della bassa Val di Merse

La Val di Merse è un polmone verde tra la Maremma, le Crete Senesi e la Val d’Orcia. È un ponte naturale tra l’Amiata e le Colline Metallifere, tra il mare e Siena.
La riserva ha una estensione complessiva di circa 1.740 ettari che si localizza in una zona collinare con morfologia impervia, di elevato valore paesaggistico.
Le formazioni geologiche presenti sono riconducibili alla facies Ligure e a quella del Neoautoctono.
In passato fu una sorta di via di fuga dalla costa flagellata dalla malaria verso le terre più salubri e più ricche che si trovavano nell’entroterra.


La sua straordinaria ‘solitudine’ è stato un forte richiamo per eremiti, pensatori e viaggiatori in cerca di pace.
Le tracce del passato sono ben evidenti e le pietre del medioevo qui non sono diventate salotti per turisti ma isole perfettamente integrate in un mare verde che conserva qualcosa di antico.
Il 5 settembre 1960 ci fu la piena più rilevante per quanto riguarda il bacino del fiume Merse. L’esperto della zona Damiano Sonnini ci spiega che fu causata da un potente temporale autorigenerante che colpi duramente la parte iniziale del fiume nelle zone di Boccheggiano, San Galgano, Cotorniano e Chiusdino con picchi di 300-350 mm in poche ore, anche Rosia e Sovicille non furono risparmiate con accumuli di circa 200 mm. Fu proprio durante questa piena che crollo il vecchio ponte di Macereto. Da i dati a nostra disposizione spicca su tutti quello della stazione idrometrica chiamata Merse Ornate che fece registrare l’altezza massima di 10,22 metri probabilmente causata anche dal crollo del ponte che creava un “effetto diga”.
Ai tempi del Medioevo, molte colline al confine tra la bassa Val di Merse e la Maremma erano circondate da mulini ad acqua e a vento che provvedevano a macinare il grano delle campagne circostanti.
Qualcuno ridotto in rovina, si vede ancora oggi. Tra questi spicca un vecchio mulino che si trova lungo il corso del fiume Merse vicino a Ponte a Macereto nelle vicinanze del bivio che dalla strada Siena-Grosseto porta verso Monticiano, Iesa e San Lorenzo a Merse. In prossimità delle risaie, infrattato tra cespugli e alberi vi è questa vecchissima costruzione che faceva paura anche solo a passarci vicino, infatti i contadini, quando erano costretti a camminarvi di fianco si voltavano dall’altra parte per non vederlo, evitando di ricordare la triste leggenda che si raccontava intorno ad esso.


“Ci fu un tempo in cui questo mulino si innalzava maestoso sul fiume con le sue belle ali roteanti che giravano non solo con lo scorrerre dell’acqua ma anche al minimo soffio del vento.
Ne era padrone un mugnaio che, però, era una persona malvagia, crudele, egoista, avaro, maligno. Questi difetti li rovesciava sui poveracci che scendevano da Casciano di Murlo, da Monticiano e dai paesi limitrofi obbligati a macinare il loro grano da lui perché, nella zona, quel mulino era l’unico che esistesse. Cosa faceva il mugnaio? Rubava sul peso della farina, esigeva, per consegnarla, prezzi esorbitanti, prestava denaro ai contadini bisognosi, ma solo per chiedere indietro una cifra doppia e, se qualcuno si ammalava o gli andava male il raccolto, non aveva pietà, gli portava via tutto: la casa, gli arnesi e le bestie. Succedeva così che, mentre quei poverini diventavano sempre più poveri e timorosi, quel mugnaio diventava sempre più ricco e prepotente e nessuno poteva farci nulla.
Dicono però che c’è una giustizia per tutti. Ed ecco che un’annata la carestia e la siccità ridussero a zero i raccolti. Furono guai per i contadini senza un chicco di grano, ma furono guai anche per il mugnaio che non ebbe più grano da macinare. Venne l’inverno e il mugnaio, a dir la verità, se la passava ancora benino. Chiuso nella sua casa, pane e fuoco non gli mancavano ma, inutile dirlo, se li teneva per sé.


Una sera sentì bussare alla porta, era una donna con un bambino in braccio, tutti e due con gli abiti stracciati e tremanti di freddo. La poveraccia implorò un po’ di fuoco e un po’ di pane per lei e suo figlio.
Ma il mugnaio sgarbatamente gli rispose di andare via, di andarsene altrove e siccome la donna insisteva e lo supplicava, il malvagio esplose con urla e minacce. Ma tutto d’un tratto la donna si trasformó prodigiosamente da
una povera stracciona quale era, in una signora avvolta di luce splendente e in tono ardente esclamò: “Guai a te, uomo senza cuore! Scacciando me, hai scacciato il Signore dalla tua casa! D’ora in poi il tuo mulino sarà per sempre maledetto e le sue ali non si muoveranno più”.
Da quella notte, le ali del mulino, non si mossero più ne con l’acqua e ne con il vento e il mugnaio
si rivolse ai più abili meccanici perché le facessero funzionare ma le ali, parevano inchiodate nel cielo. Neppure i venti più impetuosi, neppure le
bufere più violente, e nemmeno le piene del fiume riuscirono a smuoverle. Ben presto, esse divennero nidi
di neri corvi che gracchiavano, volteggiando sul mulino maledetto.
Quanto al mugnaio, nessuno ne seppe più nulla. Forse, una notte, protetto dalle tenebre fuggì lontano dalla squallida dimora, portandosi con sé i rimorsi di tutte le sue cattive azioni”.