Il David meno conosciuto

Quando ci siamo visti la prima volta mi rimase subito antipatico a pelle. Parlava senza guardarti, formale, poche parole, faccia che non tradiva alcuna espressione. Era l’estate del 1993 ed eravamo nella redazione de Il Cittadino, l’unico quotidiano cartaceo mai realizzato completamente a Siena. Progetto editoriale, progetto grafico, sistema editoriale, redazione, stampa, tutto era fatto con professionisti e aziende senesi.
Un progetto ai limiti dell’impossibile perché ai quei tempi fare tutto in casa con mezzi modesti era davvero complicato e costosissimo.
Ero stato chiamato dal direttore Duccio Rugani proprio per “tarare la macchina” visto che aveva già fallito una volta la prima uscita in edicola, e per seguire le pagine di sport. Venivamo entrambi dalla Gazzetta di Siena, chiusa non per demeriti ma per problemi dell’editore marchigiano, poi assolto dieci anni dopo, nell’ambito di “Mani pulite”. Io, a quei tempi, ero considerato da Duccio molto bravo a seguire i problemi tecnici e un mezzo drago dei computer per quelle che erano le competenze dei giornalisti di allora (oggi un qualsiasi adolescente ne sa più di me!).
David Rossi era già lì, veniva dal settimanale La Voce del Campo di Maria Pia Corbelli, dove svolgeva il ruolo di grafico-impaginatore e un po’ di tuttofare. Stava anche preparando la sua tesi di laurea in Storia dell’Arte. In quel gruppo c’erano già, o sarebbero arrivati di lì a poco molti dei giornalisti senesi più conosciuti. Sonia Maggi, Simona Pacini, Marco De Candia, Katiuscia Vaselli, Maurizio Bologni, Alessandro Rossi, Susanna Guarino, Laura Valdesi, Federico Cappelli e tanti altri che condivisero con noi, per periodi più o meno lunghi, gli ex ambulatori della clinica Rugani trasformati in redazione.

 

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David, già allora, aveva gusti raffinati e per la grafica scelse clip art e caratteri che si rifacevano all’ Art Nouveau.
Le nostre scrivanie erano accanto e così piano piano cominciammo a socializzare. Scoprii molto presto che dietro a quel volto impassibile si celava, oltre ad una persona attenta e preparatissima, un’umorista dallo stile tipicamente inglese capace di spellarti con due parole, sempre con garbo ed educazione. La sua capacità di volgere sul registro ironico e sul grottesco ogni fatto e anche ogni problema che incontravamo, mi conquistò quasi subito e cominciai a vederlo sotto una luce diversa. Anche a me la satira piaceva molto, così cominciammo a ridere insieme e a rilanciare l’uno le battute dell’altro, le mie più grossolane e immediate, le sue sempre raffinate e incredibilmente taglienti. Insomma si sciolse un po’ e ci avviamo a diventare buoni amici. A me di lui piaceva la sobrietà, la sua conoscenza a 360 gradi, l’auto ironia e anche l’intransigenza sulle cose che reputava importanti senza timore di andare contro gli altri. Penso che a lui di me, invece, piacesse soprattutto che l’avevo sgamato, che avevo intuito il suo spirito profondo nascosto dietro un carattere apparentemente asettico. Tanto più faceva “l’uomo che non deve chiedere mai” – lo chiamavo così – tanto più mi faceva ridere e mi suscitava simpatia.
Non era così con tutti, perché non te ne passava una e con quella sua ironia poteva anche ferire profondamente il malcapitato di turno. Se ci aggiungete la sua chiusura a riccio, uno che parla solo quando strettamente necessario, capite bene che c’era anche chi se la prendeva. Di solito erano le donne ad apprezzarlo di più, anche perché con loro un po’si tratteneva. Una volta imparato a conoscere però, di solito, piaceva parecchio.
Vivemmo insieme la stagione delle liste massoniche, ricordo ancora quando, la sera che si trovò ad impaginare i primi cento nomi, mi girai e lo vidi con le mani sul viso, ci guardammo e mi disse: siamo rovinati! E in effetti andò proprio così.
Però quella stagione difficile ci unì ancora di più e riuscimmo a prendere un po’ campo nella redazione. Lui iniziò anche a scrivere di attualità a seguire il Comune, io ad occuparmi anche dei conti. Insieme realizzammo il numero del lunedì dedicato allo sport con carta rosa e grafica che ricordava molto la mitica Gazzetta dello Sport, numero che ebbe buon apprezzamento in edicola. Virammo il giornale su meno politica e più attualità. Trovammo anche il tempo per fare un inserto satirico L’Ortica nel mensile universitario che allora dirigevo con il giovanissimo editore Michele Zaccaria: Il Quadrifoglio.
Copiando dal vecchio Male facemmo le false pagine di quotidiani famosi, il tagliando da staccare e da inviare alla locale sezione di Forza Italia per prenotare “il tuo posto di lavoro” quando Berlusconi ne annunciò un milione a disposizione degli italiani (si chiamava “Forza Taglia!”), la Nazionale di Sacchi che giocava solo a destra, una versione moderna dei Sonetti Lussuriosi di Pietro l’Aretino e tanti altri piccoli divertimenti simili.
Servivano a sfogare quella nostra carica auto ironica e a spezzare il lavoro massacrante. Ricordo che un anno abbiamo fatto, non solo io e lui, cinque giorni di festa tutto compreso (ferie, domeniche, feste comandate).
Le cose però non andavano bene e anche nel gruppo i rapporti si stavano deteriorando. Un giorno, David arrivò con un libretto in mano, uno di quei manualetti che ti spiegano come intraprendere un lavoro nuovo. Il titolo era: Come creare un ufficio stampa, di Francesco Pira. Così fra il generale scetticismo dei colleghi fondammo nel maggio del 1996 l’Agenzia Freelance insieme a Maurizio Bologni, la prima agenzia di comunicazione giornalistica strutturata della città e una delle primissime in Toscana.

 

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Nel suo occuparsi del Comune di Siena, aveva iniziato a frequentare Pierluigi Piccini che, da uomo acuto qual è, aveva subito capito le potenzialità del giovane David.
Così lui e Maurizio Bologni iniziarono a collaborare con l’ufficio stampa del Comune per la comunicazione del Sindaco e della giunta, mentre io seguivo il resto dei lavori dell’agenzia.
Quando Maurizio fu assunto a Repubblica andai io ad affiancare David in Comune. Il rapporto fra lui e Piccini era già stretto e quel sindaco burbero che faceva paura a tutti con David aveva un atteggiamento diverso, lo ascoltava e accettava i suggerimenti. Vederli insieme mi faceva sorridere, Piccini altissimo, scuro, barba, sopracciglia folte, sguardo duro che gli mancava soltanto il cartello “attenzione morde”, David piccolino, chiaro di capelli e carnagione, accuratamente sbarbato, misurato come un perfetto gentleman, sembravano assortiti per differenza. Diventò in fretta il miglior consigliere del sindaco attirandosi non poche antipatie fra i numerosi cortigiani. Fu una stagione molto bella e creativa.
Nell’ottobre 1996 David se ne uscì con’altra idea che anticipava i tempi: fondare un quotidiano on line: Siena News per l’appunto. Come spesso capitava, lui metteva l’idea e io dovevo trovare come saltare il fossato che ci separava dalla sua realizzazione. Alessandro Bellucci fece la grafica, con l’editor del primissimo navigatore web (Netscape 1.0) realizzavamo le pagine e con un collegamento ftp a 54 kb le mettevamo on line. Ancora nessuno dei quotidiani cartacei era sul web e di esperienze simili in Italia ce n’erano pochissime, meno di 10 in tutto.
Pochi sanno che fu proprio con Siena News che lanciammo la campagna web “Save Rocco Barnabei” (chi non ricorda la storia può trovarla qui ). Grazie a Roberto Barzanti, allora vicepresidente del Parlamento europeo, Fabrizio Vigni parlamentare a Roma e poi Anna Carli, riuscimmo a mobilitare l’opinione pubblica fino al punto che anche Papa Giovanni Paolo II fece un appello per salvare il giovane italo americano di origini senesi. Non ci riuscimmo, ma la nostra petizione on line fece saltare i server web del Governatore delle Virginia e, qualche anno dopo l’esecuzione di Rocco, il laboratorio che aveva eseguito il test sul Dna, la prova che lo incriminava, fu chiuso per sempre dopo aver appurato che in circa venti casi i risultati delle analisi non erano attendibili. Per quanto amara, fu una piccola soddisfazione.
Anche le prime foto digitali nella storia del Palio sono state pubblicate su Siena News, grazie ad un accordo con Canon Italia e il fotografo Fabio Di Pietro. Erano utilizzate dalla Canon per testare il primo modello di fotocamera senza pellicola su un evento molto difficile da riprendere. Le pubblicavamo in tempo reale, prima però le ritoccavo con Photoshop per farle sembrare più vere!

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Siamo stati noi, insieme a Mario Pasetto di Siena On Line a fare la prima diretta web nazionale in collaborazione con Italia On Line che mise a disposizione i propri server garantendo un accessibilità in contemporanea a più di mille utenti (un’enormità per l’epoca).
Anche in Comune il ruolo di David fu importante per portare a termine la cablatura della città. In quegli anni fu inventata la tecnologia Adsl che poteva garantire sufficiente banda senza dover ricorrere alla fibra ottica. Telecom così abbandonò il progetto in corso di cablaggio delle maggiori città italiane. L’unica rete portata a compimento fu quella senese perché Piccini e David si inventarono il Canale Civico, dimostrando così a Telecom la necessità della fibra ottica visto che allora l’Adsl non era sufficiente a trasportare un segnale televisivo.
Il Canale Civico, prima televisione comunale italiana, iniziò a trasmettere con il sindaco Maurizio Cenni. David era il direttore, Sonia Corsi il caporedattore. Cablatura e Canale Civico dal fortunato slogan “Legati al passato, collegati al futuro” del giovane e geniale copywriter Giampiero Cito (allora stagista in comune), furono premiati al Futur Show raggiungendo una grande notorietà nazionale. A tal punto che poi la Provincia decise di replicare il progetto cablando tutto il territorio senese con i soldi della Fondazione Mps. Così nacque Terre Cablate.
Il Canale Civico fu la prima televisione a trasmettere il Palio solo con l’audio ambiente, la prima in Italia a sviluppare la crossmedialità mettendo una web cam nella redazione di Antenna Radio Esse (oggi lo fanno tutti). Studiammo e definimmo in sede di progetto un decoder che anticipava di 15 anni le Smart Tv che solo adesso stanno arrivando sui mercati, con un portale dedicato ai servizi al cittadino. Ci bloccò l’ostracismo di Sky e il Governo che, spaventato dalla possibilità che ogni ente locale si dotasse di una propria Tv, inserì una norma nel nuovo decreto sull’emittenza radiotelevisiva che, in pratica, colpiva solo Siena e per questo CCS, la prima cable Tv italiana, fu venduta ai privati.
Fu così naturale che Pierlugi Piccini pensasse a lui come capo della comunicazione quando preparava il suo sbarco alla Fondazione Mps. I giochi erano praticamente fatti e già da mesi si parlava di come rimodellare quel ruolo. Poi un giorno o due prima dell’atteso annuncio il “cavallo” Piccini fu azzoppato dal Ministro Visco con una circolare che impediva ai nominanti di essere a loro volta nominati nel primo anno dopo la scadenza del loro mandato. In pratica i deputati nominati in fondazione da Piccini non avrebbero più potuto sceglierlo come presidente o almeno, non nell’immediatezza, solo l’anno dopo. Se il principio aveva una sua ragione d’essere, la tempistica e la casistica (in pratica colpiva solo Piccini) sembrò proprio “ad personam”. Quella circolare poi fu dichiarata anti costituzionale qualche anno dopo.
Così l’ex sindaco partì verso Parigi e Mps France. Provò a convincere David a seguirlo e lui fu molto tentato ma alla fine, non senza ripensamenti, decise di restare. Troppo l’attaccamento a Siena, alla sua Contrada, ai suoi affetti per trasferirsi in Francia.

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Nel frattempo i nostri politici, per attenuare la furia di Piccini, defenestrato in un modo obiettivamente né garbato, né comprensibile alla gente normale, pensarono bene di mettere alla guida della Fondazione Mps l’avvocato Giuseppe Mussari, giovane promessa della politica senese, e soprattutto delfino di Piccini all’interno del partito. Pensarono, mettendo Mussari, suo fido collaboratore, di placare “l’ira funesta” dell’ex sindaco. Mai scelta fu più sbagliata e, il tempo ci ha insegnato, non solo per questo motivo. Si capì da subito che qualcuno aveva sbagliato i calcoli logici, la cosa fece ancor più adirare Piccini ormai “esule” e dirigente di Mps France.
Il giovane Mussari, però, si convinse che l’apporto di David fosse importante in Fondazione e, un po’ a sorpresa (a quei tempi non andavano molto d’accordo), lo fece chiamare.
Inizia così la nuova avventura.
Anche in Fondazione David porta le sue idee. Capisce che adesso può unire il lavoro alla sua passione per l’arte. E’ così che ha l’idea di creare Vernice (il nome è suo e studia il logo con Mario Catoni), una società strumentale per realizzare eventi culturali. Si impegna perché la Fondazione acquisti opere dell’arte antica senese da riportare in città. Con lui si apre la stagione delle grandi mostre al Santa Maria della Scala dove può contare sull’appoggio incondizionato di Enrico Toti.
Quando entrò nel gruppo di lavoro sulla mostra di Duccio, mi volle con lui in rappresentanza del Comune per riuscire a chiudere in fretta i lavori di allestimento che stavano facendo ritardare l’apertura. Mi sembrava un po’ di essere tornato ai tempi del Cittadino. Anche tutte le mostre successive le abbiamo affrontate insieme, pianificando tempi e campagne.

 

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Pur trovandoci, ormai, in sedi di lavoro diverse, noi continuavamo a lavorare insieme come sempre avevamo fatto. Ci sentivamo più volte al giorno e il tempo almeno per un caffè ci scappava sempre. Come sempre riuscivamo a buttare sul ridere tutte quelle piccole, grandi problematiche impreviste che ogni giorno si trova ad affrontare chi siede in quei ruoli. Ci facevamo terapia a vicenda per scaricare la pressione e, cogliendo il lato ironico delle cose, spesso veniva anche l’idea su come affrontarle e risolvere. Passare del tempo con lui per me era sempre piacevole anche quando dovevamo affrontare delle emergenze, era un po’ come tornare a casa.
Se passando vedete in giro targhe con scritto “opera realizzata con il contributo della Fondazione Mps”, anche quella è un’idea sua, nata per dare una percezione immediata al cittadino di come si utilizzano i contributi.
Con la sua abilità professionale contribuì molto all’ascesa mediatica di Mussari che in quegli anni fu davvero prorompente. Il sodalizio fra loro divenne sempre più stretto e divenne naturale il suo proseguimento a Rocca Salimbeni. Quando David Rossi ebbe la sicurezza di diventare il nuovo capo della comunicazione della Banca Mps, volle che io prendessi il suo posto in Fondazione. Parlammo con il sindaco Cenni, il nuovo presidente Mancini, fino a chiudere l’accordo con l’allora direttore Marco Parlangeli. Dal primo luglio 2006 sarei passato dal Comune alla Fondazione. Un noto politico locale, però, mi chiese di restare in Comune, diceva che il mio apporto era fondamentale e io decisi di restare. Capii dopo che probabilmente a qualcuno quel nostro lavorare insieme cominciava a disturbare. E’ stata l’unica volta che ho litigato con David, praticamente non mi ha parlato per mesi, dopo avermi liquidato con un perentorio: te sei matto. Non aveva tutti i torti.
Con il suo nuovo lavoro i nostri incontri si sono molto diradati, non era più così semplice vedersi. Il lavoro lo assorbiva completamente, praticamente lavorava sempre, attaccato allo smartphone per telefonare o guardare le agenzie. Tante volte gli ho detto di staccare un po’ ma lui era fatto così.

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Al Monte ha rivoluzionato l’area Comunicazione, ha aperto una sezione dedicata al patrimonio artistico della banca, ha avviato una ri-catalogazione di tutte le opere d’arte possedute da Mps. Un giorno mi ha raccontato fiero che la banca aveva un patrimonio di quadri e sculture per decine di milioni di euro nelle filiali senza che ve ne fosse piena consapevolezza. E’ lui che ha pensato per primo di aprire Rocca Salimbeni ai visitatori, sua l’idea di un museo. Mps Channel è opera sua così come – non so se l’ha realizzata – l’idea di una piattaforma intranet social per tutti i dipendenti della banca. Insieme, un giorno a pranzo, abbiamo pensato a realizzare il Forum nazionale del vino italiano, un’idea che poi è stata copiata da altri gruppi bancari e perfino dal Vinitaly con l’osservatorio permanente Wine2Wine.
Da poco era stato nominato dalla banca vicepresidente del prestigioso museo civico Palazzo Te di Mantova. Non me lo hai mai detto, ma sono sicuro che lui stesse pensando già, per il futuro prossimo, ad una nuova avventura facendo il salto definitivo nel mondo dell’arte, quello che amava di più.
Era un innovatore in tutto ciò che faceva, amava dipingere, stare con la sua famiglia, vivere la Contrada, amava il Siena e si rilassava con lunghe passeggiate sul Monte Amiata con il suo cane (chiamarlo cane è riduttivo) Ernesto. Teneva in casa una poesia con dedica firmata da Mario Luzi, appassionato di storia, soprattutto battaglie, aveva una cultura enciclopedica che ti impediva sempre di avere l’ultima parola, qualsiasi fosse l’argomento.
I nostri rapporti sono tornati a stringersi quando ha iniziato a montare l’onda mediatica sulla crisi della banca. I giornalisti nazionali lo tartassavano e io dal Comune facevo la retroguardia. Così ci sentivamo più spesso per incrociare le opinioni e allineare i commenti, come accadeva ai vecchi tempi. Riuscivamo, anche in questi casi, a trovare il posto per una battuta, per il lato comico della vicenda e andare avanti.
Quando vidi sulle agenzie che stava subendo una perquisizione in casa, pensai a quel nostro gioco autoironico e gli mandai un sms: dove ti devo portare le arance?
Mi rispose subito: “Non scherzare su questa cosa”. A voi non dirà niente questa frase, a me disse tantissimo e mi preoccupai. Era la prima volta che non riusciva a scherzare sui problemi.
Lasciai passare un po’ di giorni, pensavo mi chiamasse lui. Alla fine lo feci io. Gli proposi di vederci e disse sì, ma non nel suo ufficio. Dissi: andiamo a prendere un caffè… No – rispose – e se ci ascoltano?
Rimasi stupito e ribattei che non avevano niente di strano da dirci, ma non servì: “Eh ma sai, magari una mezza frase interpretata male”. Parlammo passeggiando per i corridoi del Monte, poi alla fine si convinse e ci sedemmo nel suo ufficio. Era turbato, pensava di essere spiato, non aveva più nulla della sua proverbiale capacità di cogliere il lato comico delle cose, era immerso in quel mondo oscuro di dubbi e di sospetti. Provai a rincuorarlo, gli dissi: se ti senti a posto con la tua coscienza il resto passerà, basta aspettare un po’ di tempo. Non pensai a niente di tragico, solo che fosse molto turbato. Poi non era persona da far trasparire i propri sentimenti, lo dovevi interpretare. E siccome in quel periodo me la passavo male anch’io, pensai che tutto sommato le cose importanti della vita erano ancora al loro posto. I nuovi vertici gli avevano confermato la fiducia, gli affetti della famiglia erano saldissimi, problemi economici non ne aveva, in un modo o nell’altro la bufera sarebbe passata e sarebbe tornato il David di sempre.
Come accade sempre in questi casi, poi si passa un sacco di tempo a pensare che forse, se avessi capito di più, se avessi cercato di approfondire forse, forse oggi sarebbe diverso. E’ un pensiero comune a molti amici, ma purtroppo non lo sapremo mai, non si può riavvolgere il nastro e tornare indietro.
Il resto della storia lo sapete.
Ho tralasciato decine e decine di aneddoti, piccole storie, che meriterebbero di essere raccontate e forse un giorno lo farò, però se siete arrivati a leggere fino qui significa che anche voi vi siete lasciati prendere da questo piccolo (nel senso di minuto) grande uomo che era il mio miglior amico prematuramente e drammaticamente scomparso. Capirete quindi anche la difficoltà di dover convivere con il tarlo nella testa che “forse” si è suicidato o “forse” è stato ucciso. Chi gli voleva bene non può vivere così: #veritàperDavid

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David Taddei