I mulini e le gore della Merse: la danza delle streghe nel castello in mezzo al nulla

Le acque del fiume Merse furono utilizzate fin dal ‘200 per la macinatura del grano e di altri cereali, attività incoraggiata dalla città di Siena che aveva in questa zona un fondamentale punto di riferimento per la produzione della farina necessaria ai propri abitanti.

 


L’acqua del fiume non era usata sul posto, ma attraverso una serie di opere idrauliche era trasportata fino all’edificio del mulino e accumulata nel bottaccio. In questo modo si aveva una quantità d’acqua assicurata durante tutto l’anno e il mulino poteva essere costruito su aree facilmente accessibili, anche lontano dal corso d’acqua. L’acqua veniva presa dal fiume tramite una “steccaia”, una diga costruita con pali di legno o, più recentemente, in parte in muratura, l’acqua a monte della diga si accumulava e veniva incanalata tramite una presa in una “gora”, un canale che dopo un cammino più o meno lungo scaricava nel bottaccio. A Brenna e dintorni erano concentrati i mulini più importanti del contado senese, e tutti erano serviti dall’acqua trasportata da un unico gorello, lungo ben sei chilometri. Questo lungo canaletto e la sua steccaia sono ancora in buona parte visibili… a monte del paesino di Brenna il gorello è scavato nel calcare, con alcuni tratti in galleria nella roccia.

 


Il piccolo paese di Brenna secondo la tradizione, sarebbe stato fondato dal condottiero Brenno, capo dei Galli Senoni, che qui giunse agli inizi del IV secolo a.C.
Il borgo fu in epoca alto-medievale proprietà dei conti Ardengheschi di Civitella Marittima, prima di passare sotto Siena nel 1202. Nel 1271 fu decretato che nell’abitato di Brenna avrebbe dovuto risiedere un giudice sotto diretta dipendenza del podestà di Siena.
Nel 1833 si contavano a Brenna ben 354 abitanti.
Proprio qui si può vedere dall’esterno il primo mulino, il Mulino del Pero, uno dei più importanti del contado senese, rimasto in attività fino agli anni 50 del secolo scorso. Costruito nel 1245 dall’Abbazia di Torri con il Comune di Siena, fu venduto nel 1258 da quest’ultimo all’Abbazia di San Galgano per ripianare i propri debiti. L’aspetto attuale risale all’XIV secolo, quando furono necessarie opere di fortificazione a causa del passaggio delle compagnie di ventura. Da qui risalendo il bellissimo fiume Merse, e costeggiando la gora si possono vedere i ruderi del Mulino della Sassa.
Poco distante da questa struttura vi è un bellissimo torrente da cui prende nome il mulino Ricausa, che fu costruito nel 1300 circa per servire il castello vicino dove si trovano ancora i ruderi di Castiglion Balzetti (comunemente conosciuto come “Castiglion che Dio sol sa”, appellativo che descrive perfettamente il luogo in cui sorge selvaggio, isolato, lontano da strade, vie di comunicazione e luoghi abitati) sono da identificarsi con il “Castellione Bencetti” citato per la prima volta negli statuti Senesi nel 1262. Tale denominazione deriva, con molta probabilità, dalla famiglia aristocratica che ebbe signoria su questo territorio.

Sul castello ci sono pochissime fonti storiche disponibili, alla fine del Duecento era sotto la giurisdizione senese, come riportato in una condanna ricevuta per non aver inviato fanti al servizio del comune. Da un altro documento del 1271 emerge però che Siena non inviava un proprio rettore al castello, riconoscendo così una certa autonomia politica e giurisdizionale ai signori locali. Già all’epoca questi dovevano essere i Saracini, potente famiglia senese che nel 1318 risulta comunque proprietaria della fortezza, di molte delle terre circostanti e di un mulino. Sia da queste poche notizie sia dalla tipologia delle murature originarie superstiti si può desumere che l’edificazione del castello sia avvenuta in epoca relativamente tarda, cioè nel corso del 1200.


Massimo Biliorsi ci racconta nei suoi libri che nella notte di San Giovanni si accendevano i fuochi, quando la Stregona marchiava le nuove figlie di Satana. Abbandonato dagli abitanti della zona, Castiglion che dio sol sa era diventato così un sicuro rifugio di megere.

Qui si diventava strega con il rito del sangue. Al termine della cerimonia tutte insieme volavano urlanti sopra a Siena. Le streghe si alzavano lente nei boschi della Merse, segnate a vita da quel marchio che veniva stampato a fuoco sulla loro pelle, impresso le più volte nella mano sinistra, il segno tangibile che mostrava l’assoluta dipendenza. Una leggenda così forte, così radicata, che ancora oggi si sussurra che non cada fulmine a Castiglion che Dio sol sa senza che lo voglia la terribile Stregona.

Gabriele Ruffoli