Freud, scoperte e invenzioni – seconda puntata

Come accennavo nella precedente puntata, la psicoanalisi, dunque, non fu scoperta, ma inventata da Freud e sappiamo che il lasso di tempo che fu necessario, va misurato in anni. Ce ne vollero almeno cinque, forse sei, perché Freud la mettesse a punto, dal 1890 al 1896. In quest’anno, infatti, usa per la prima volta il termine “psicoanalisi” in un lavoro pubblicato in francese.
Questa “invenzione” ha, per sempre, cambiato il mondo.
Pensate che esageri? Allora vorrei far notare che, in un mondo come l’attuale che “macina” mode e parole ad un ritmo quasi giornaliero, nel nostro vocabolario, ad oltre un secolo di distanza, resistono ancora molti dei vocaboli da lui “lanciati”: inconscio, rimozione, super-io, transfert, edipo. Tutti, più o meno a proposito, citiamo ed usiamo ancora questi termini.
Nella estrema sintesi che sarò costretto a fare del suo pensiero, vorrei tentare di ricordare alcune delle cose che Freud lascia in eredità a tutti noi.

In this photo released by the Sigmund Freud Museum in Vienna former Austrian psychoanalyst Sigmund Freud is pictured in his working room in 1938.

La prima è la piena valorizzazione dell’inconscio, il rendersi conto cioè che una buona parte della nostra vita mentale avviene senza che ne abbiamo piena coscienza. Si può percepire, sentire, ricordare, agire, perfino decidere in maniera inconscia. Come ci possiamo rappresentarci questa cosa, forse non immediatamente comprensibile? Con una metafora: immaginiamo un paesaggio notturno illuminato da un fascio di luce. Ciò che il faro illumina rappresenta l’esiguo campo della nostra coscienza, invece ciò che rimane al buio, ma che conserva tutta la sua realtà viva e operante, è la nostra parte inconscia. C’è qualcosa di copernicano in questa scoperta, come se l’uomo moderno, visto che il controllo completo della mente è solo un’illusione, fosse stato gettato in una posizione di minor padronanza di sé stesso. L’inconscio diventa in tal senso fonte di imprevisti e sorprese, ma è anche spesso la fonte della creatività.
Altra geniale elaborazione di Freud è il modello della mente che ci propone in tanti anni di riflessioni ricavate dalla clinica. È un modello topografico che riconosce differenti zone al proprio interno. Freud ci propone una sorta di cartina geografica della mente che si basa sull’Io, sull’Es ed il Super-Io. Su questa geografia Freud continuò a lavorare per tutta la vita. I continenti di questa cartina sono disposti in un certo ordine, e pur essendo delle astrazioni, Freud tenta di darne una raffigurazione spaziale: l’Io è al centro in una naturale posizione di mediatore tra la parte sottostante magmatica e inconscia denominata Es (coincidente in larga misura con l’inconscio pulsionale) e quella sovrastante che raduna e raccoglie le istanze morali racchiuse nel Super-io.
La terza idea, che forse rappresenta il punto centrale della sua “weltanschauung” consiste nell’affermare che la mente nasce, si sviluppa e continua a funzionare per stimolo delle pulsioni. Con questa parola si intende qualcosa di molto simile, ma non coincidente con gli istinti. È comunque qualcosa che ci riconnette alla nostra parte primitiva, più animale. Dalle pulsioni, nella sua visione, l’uomo è totalmente condizionato, spesso incapace di dominarle, a volte, di loro, del tutto succube. È una visione pessimista, un giudizio cupo della natura umana, dove la parte prevalente è aggressione e violenza.
Freud stabilisce che le pulsioni alla base della vita mentale sono due. La prima è la libido che contiene al suo interno la spinta sessuale, ma che comprende molto di più: l’atteggiamento positivo verso la vita, il mondo, gli altri, la conoscenza. La seconda è invece la pulsione di morte che va vista come la volontà aggressiva di nuocere agli altri, di essere violenti fino ad uccidere ed uccidersi, una sorta di condanna alla guerra ed a un’inevitabile entropia.
Sul tema dell’istinto di morte, proposto dal fondatore, molti dibattiti si sono accesi all’interno del movimento psicoanalitico. Qualcuno si è ribellato a quest’idea che sembra mettere al primo posto i peggiori istinti dell’uomo. Altri ancora hanno cercato di dimostrare che lo sviluppo umano può connotarsi anche in altro modo.
In una fase sociale come l’attuale, a me pare, purtroppo, che non sia così difficile comprendere quell’ipotesi. Non scordiamo che Freud operò, negli ultimi anni della sua vita, in un periodo storico anche peggiore dell’odierno, caratterizzato dall’ascesa del Nazismo che lo costrinse, ormai vecchio e famoso, a fuggire in fretta e furia dalla sua Vienna, riparando a Londra, dove morì, per evitare le persecuzioni razziali. Certe fasi storiche non possono non far pensare al male come ad una bufera che gli uomini si portano dentro e che, in particolari condizioni, si scatena e li travolge.
Per Freud, allora, la civiltà consiste nel porre giusti limiti a questo mondo istintuale, costruendo una crosta difensiva che trattenga e regoli il flusso del magma emotivo e pulsionale che la natura ci ha dato. Quando questa scorza si mostra fragile, può capitare che ne erompa la malattia, il disturbo nevrotico, emergendo il flusso incandescente della vera natura umana.
Questo pensiero indirizzò anche la sua pratica clinica che lavorava sul senso di colpa. Quest’ultimo, naturale argine alle spinte istintuali, andava rinforzato, o reso meno severo, a seconda dei casi. La sua strategia terapeutica si adattò alla tipologia di pazienti che trattava più spesso: donne isteriche assillate da tematiche sessuali o uomini ossessivi imprigionati in rituali soffocanti. Ma come vedremo, con il tempo e con il cambiare delle patologie si dimostrerà più difficile far leva solo sul senso di colpa per portare sollievo e comprensione a patologie mentali più profonde e gravi.
Non è possibile concludere queste note senza accennare al complesso di Edipo, la teorizzazione che Freud ha portato sulla scena della modernità e che “legge” una delle tappe fondamentali dello sviluppo mentale. Molti sorridono, scettici, alla più nota versione del conflitto, quella sessualizzata in cui si narra di un bambino che vuole conquistare il genitore di sesso opposto e “far fuori” quello dello stesso sesso, che è il modo sintetico di raccontarlo. Ma Il conflitto, tra le tante cose che contiene, parla della delicata fase in cui comincia a diminuire il rapporto esclusivo, simbiotico, con la madre. È la fase in cui il bambino, dopo aver appreso la coppia (io e la mamma), capisce l’esistenza di un triangolo in cui compare il padre ad insidiare il suo potere. È ovvio che questo passaggio faccia nascere aggressività e rabbia, e nello stesso tempo diventi la palestra per imparare a tenere a freno questi sentimenti. Il piccolo, dopo, sarà capace di limitarsi e di dirigere le sue naturali ambizioni verso altre mete. Freud pone la fine di questo processo intorno al termine del quarto anno di vita.
Due donne conversano intorno al tavolo a fine pasto. La più giovane ha avuto un figlio da poco. Parlano di allattamento e la più vecchia ricorda come faceva lei ai suoi tempi, con orari precisi e prevedendo la possibilità di far piangere il piccolo. La giovane insorge, essendo sostenitrice dell’allattamento a richiesta, e zittisce l’altra dicendo che il tempo è passato e che adesso non si fa più così. Il tono è duro ed il sotto testo dice: adesso è il mio tempo di decidere come fare, la tua esperienza non conta più, lasciami in pace. La discussione finisce, le due si separano. La più vecchia rimane sola e con la sensazione di essere all’improvviso invecchiata di vent’anni.
È questa una scena ad alta gradazione edipica, dove la generazione giovane simbolicamente “uccide” quella precedente. L’edipo rappresenta pertanto una delle possibili modalità del passaggio generazionale e parlando anche del senso di esclusione, della rabbia che questa provoca, non può non avere un focolaio aggressivo. Con questa teorizzazione Freud ci ha insegnato a leggere le vicissitudini umane più complessive, non solo quelle familiari. Pensate a quante vicende storico politiche possono essere lette in base a questo schema: se non uccidi (metaforicamente e a volte non solo) chi è prima di te, non raggiungerai mai il potere.
Concludendo vorrei tornare al mito greco per eccellenza, all’Edipo Re. Giocasta, Laio ed Edipo, sono gli interpreti involontari di un modo tragico di vedere la paternità ed il passaggio generazionale, che si può attuare solo con una uccisione. Non è questo il solo modo o il solo mito, vedrete infatti come un altro grande della psicoanalisi (Kohut) scoverà, nel grande serbatoio della mitologia classica, sempre a proposito della paternità un diverso mito dal tono meno tragico, a testimonianza che la natura dell’uomo può essere vista e sentita anche in maniera diversa.
Andrea Friscelli