Cosimini: scherzando diceva la verità, ma nessuno gli ha mai creduto. E ha ucciso a Siena

Accogliamo con piacere l’intervento dello professor Costante Vasconetto, psichiatra senese d’adozione, famoso a livello internazionale, già primario del dipartimento psichiatrico all’ospedale Santa Maria della Scala. Vasconetto, dopo aver letto la nostra intervista che parla dell’omicida Sergio Cosimini e della chiusura degli Opg, invia questo suo interessante intervento. Che apre il dibattito sull’argomento. Cosa ne pensate?

Bisogna tornare a Siena, molti anni fa, quando il primo giugno del 1990 un pazzo, fermato per accertamenti da due Carabinieri, li uccide entrambi. Guidava contromano, uno scooter forse rubato. Viene bloccato in Via dei Gazzani, ma lui scende dal ciclomotore e mette la mano in tasca. Non prende i documenti, ma tira fuori una Colt 42. Spara tre colpi contro i militari e scappa. A cinquecento metri da dove Campanile e Forziero stanno morendo, cerca di mescolarsi in un gruppo di turisti che salgono su un pullman. Una pattuglia della polizia lo vede. Gli agenti lo afferrano, lui è stravolto, non si rende nemmeno conto di quello che ha fatto. Al magistrato che lo interroga poche ore dopo, con calma si incolpa di un altro folle omicidio. Antonio Cordone, pensionato ucciso a Firenze, il 26 dicembre precedente. Non lo conosceva, però anche Cordone lo guardava male. Anche i carabinieri lo guardavano male. E così in totale sono tre, le vittime incolpevoli. Una strage dovuta a chi?

Sergio Cosimini nasce nel 1963 in una famiglia agiata. Il padre è proprietario di un mobilificio a Poggibonsi, la madre è di famiglia blasonata. Figlio unico, quando i genitori si separano lui va a vivere col padre, in una casa non lontana da quella dove la madre aveva continuato ad abitare. Da allora Sergio era diventato ombroso, difficile, solitario. A 14 anni passa lunghe ore senza uscire dalla camera e non fa entrare nessuno nella sua stanza. Un’inquietudine dilagata con la perdita della madre, morta per leucemia, una ferita insanabile nella sua adolescenza, sfociata in uno smodato amore per le armi, per i coltelli, le catene. “Ho paura di essere aggredito” risponde al padre che gli chiede spiegazioni. Manie di persecuzione e religiose. Inizia allora una odissea senza fine e senza risultato . Psicologi, psichiatri, ospedali per anni lo visitano e “lo curano…..” Il primo furto di una pistola risale al ’79 ed avviene a Firenze. Sergio ha soltanto 16 anni. Nonostante questo furto di un’arma, arma che può uccidere, niente succede. Nessuno si rende conto della realtà. Soltanto a 20 anni, durante il servizio militare, l’ Ufficiale Medico certifica “personalità schizoide” e Sergio viene immediatamente congedato.

Passano cinque anni. L’8 novembre 1988 viene fermato a bordo di un ciclomotore. Sotto il giubbotto si teneva stretto un fucile a canne mozze. Dichiara scherzando “Andavo a fare una rapina”. Diceva la verità? Forse. Ma niente succede. Il 20 marzo 1990 Sergio molesta una ragazza, arrivata la polizia picchia un agente. Il Giudice istruttore lo condannò a quattro mesi, ma decise di non procedere contro di lui perché affetto da vizio totale di mente. Evitò però l’Ospedale Giudiziario: la perizia accertò che non era socialmente pericoloso. Ma aveva cominciato a 14 anni a chiudersi da solo in una stanza, ad amare le armi, i coltelli, le catene, e a procurarsi una pistola a 16 anni, rubandola, visto che non era in grado di comprarla legalmente, e viene seguito per anni da psicologi e psichiatri sicuramente bravi, ma senza che nessuno avesse il coraggio di imporgli un trattamento sanitario obbligatorio, previsto per legge in casi come questo, non soltanto dalla “legge Basaglia” del 1978, ma anche dalla legge Giolitti del 1904.

Forse il padre di Sergio preferiva accompagnare e far seguire il proprio figlio da specialisti importanti, magari amici di famiglia, qualificati. Non certo dal servizio pubblico dove, per forza, il rischio di un TSO, il famigerato Trattamento Sanitario Obbligatorio era possibile, ma anche molto probabile. Forse anche i parenti e gli amici del padre avrebbero visto negativamente una strada rischiosa, pericolosa, non sicura. Nessuno può sapere. Eppoi secondo una perizia giurata Sergio non era socialmente pericoloso. E invece lo era fin da ragazzo quando ha rubato un’arma, vera, non un giocattolo. Il servizio pubblico poteva prendersi cura di lui, assumersi responsabilità terapeutiche, impegnarsi per la guarigione se questa era possibile, o per un miglioramento, e comunque usare tutti gli strumenti disponibili per impedire, limitare, ridurre i rischi di una strage plurima e annunciata. Non c’è la certezza totale, ma ci deve essere l’impegno totale, a impedire le stragi annunciate. Tutti devono essere ascoltati, tutti devono essere creduti.

Costante Vasconetto