Con Elisa i sogni volano a cavallo di un martello

E’ caporal maggiore scelto dell’Esercito e campionessa italiana. Si chiama Elisa Palmieri, è senese, anzi, è del Drago.
L’atleta di 33 anni il 20 febbraio scorso ha vinto i Campionati italiani del lancio del martello di Lucca, grazie alla misura di 65,75 metri. Un risultato straordinario per una donna tenace che non si è mai fermata davanti alle difficoltà che si incontrano praticando uno sport pressoché ignorato dai media. Una disciplina, quella del lancio del martello, che pratica da vent’anni e che l’ha portata a vivere sette anni lontano da casa. Ultimamente Elisa è tornata a Siena, dovendosi comunque spostare per gli allenamenti a Grosseto, perché nella nostra città non ci sono le infrastrutture giuste. Con Siena News ha parlato del suo successo e del suo sport, con l’umiltà e l’ironia che da sempre la contraddistinguono.

Spiegaci un po’ la tua disciplina?

«Il lancio del martello fa parte dell’atletica leggera, di cui è una delle specialità più tecniche. Il martello è per gli uomini di 7,260 kg, mentre per noi donne è di 4 kg. Ogni anno, ogni giorno, ogni ora, ogni allenamento impari qualcosa che te, nella tua testa, devi riuscire a meccanizzare. La tecnica del lancio è una cosa che acquisisci nel tempo. Per arrivare ad alti livelli devi essere fortunato a trovare sia strutture che ti possano ospitare sia allenatori adatti a te. Ci sono delle necessità anche a livello di attrezzature, perché, ad esempio, non basta il martello da 4 kg, ma servono pure quelli da 2, da 3, da 5, eccetera eccetera».

Per riuscire nel lancio del martello quanto conta il talento e quanto l’allenamento?

«Più che altro devi essere talentuoso nell’apprendere, nel meccanizzare il movimento tecnico. Ognuno adatta i passaggi da fare a seconda delle proprie peculiarità: chi è molto alto sfrutta le leve, chi è più basso punta sulla velocità dei piedi. Un bravo allenatore capisce che cosa sfruttare dell’atleta.

Poi ci vogliono sacrifici, sacrifici, sacrifici, che, fra l’altro, cambiano nel tempo. Da giovane devi rinunciare a uscire la sera. In seguito spesso sei costretto a lasciare casa per allenarti, come ho fatto io che sono stata sette anni ad Ascoli Piceno. Ora che ho 33 anni sono piena di dolori».

Quanto conta l’allenatore?

«Nelle specialità tecniche dell’atletica leggera l’allenatore è un buon 60% del risultato. Se non è capace di capire i tuoi punti di forza è difficile che tu riesca a emergere. E’ i tuoi occhi, perché quando lanci ti senti ma non ti vedi.
L’allenatore è il tuo padre sportivo. Non solo, ti deve essere anche amico e deve essere un buono psicologo. Ti devi fidare al 200% e devi cercare di non dargli contro. Al momento in cui viene a mancare la fiducia tutto si blocca.

In Italia l’atletica sta morendo, vuoi per la crisi, vuoi per il sistema. Purtroppo l’allenatore nelle nostre discipline è un volontario, che non viene pagato dalla Federazione. In genere sono o pensionati o professori di scuola. In Europa sono tecnici specializzati, qui da noi ancora no.
Nel nostro Paese se non ci fosse l’Esercito, di cui faccio parte, non ci sarebbe la possibilità di praticare gli sport cosiddetti “minori”».

Perché sei tornata in Toscana dopo i tuoi sette anni ad Ascoli?

«Ho dovuto lasciare Ascoli perché l’allenatore che avevo là era stato spostato in un altro ruolo all’interno della Federazione, quindi non aveva più tempo per allenare. Attualmente mi alleno a Grosseto dove ho trovato un allenatore molto capace, il professor Angius. Ci siamo trovati al momento giusto per incontrarci. Visto che non posso più allenarmi due volte al giorno per via dell’usura fisica, come ho fatto fino ai trent’anni, lo faccio solo una volta. Questo è compatibile con i suoi orari, dato che la mattina lui va a insegnare».

Cosa cambia da lancio a lancio?

«Cambia l’esecuzione tecnica. A volte, per esempio, il martello passa troppo avanti e con i piedi non riesci a stargli dietro. Il motore di tutto sono gli arti inferiori, tutto parte da lì. Te devi, grazie ai 12946937_10209558349899704_1077372121_omovimenti dei piedi, cercare di lanciare il martello con un raggio il più ampio possibile. L’errore più comune è quello di “fiondare” il martello dalle spalle e non dalle gambe. Altro difetto palese è quello di non distendere bene le braccia, riducendo così il raggio del lancio».

Quando hai fatto il lancio vincente ai Campionati italiani cosa hai pensato?

«Erano due anni di fila che perdevo i Campionati di poco. A Rovereto nel 2014 non ho vinto per 13 cm, l’anno scorso a Torino ho perso per 30 cm. Questa volta sono stata zitta…e ho pregato tutti i santi!

Quest’anno l’occasione era ghiotta, perché la primatista italiana era assente per infortunio. L’atleta che poi è arrivata seconda fa, generalmente, dei lanci di un paio di metri più corti dei miei. Lei, questa volta, ha fatto un primo lancio molto buono di 64,80 metri ed è restata tranquilla per tanta parte della gara. Io sono nervosa nei primi lanci, quindi tendo a fare degli errori inizialmente. Alla fine ci ho provato ed è andata bene».

Andrai alle Olimpiadi?

«Purtroppo nel lancio del martello non basta vincere un campionato. Per accedere alle Olimpiadi devi superare una misura minima, che è di 71 metri. E’ una distanza davvero molto impegnativa da coprire, fidatevi.

Il mio obiettivo, attualmente, è partecipare agli Europei che saranno ad Amsterdam a metà luglio. Lì il minimo per accedervi è 68 metri. Poi ci saranno i Campionati estivi e punterò a vincere anche quelli».

Quanto c’è di Siena nei tuoi lanci?

«Come atleta sono un po’ come la mia Contrada, il Drago. Siamo sornioni ma quando c’è da essere tenaci lo siamo. Purtroppo per via delle gare sono spesso fuori per il Giro e per il Palio di luglio, ma, all’occorrenza, mi porto dietro il fazzoletto, non si sa mai!

Comunque sia nei miei viaggi per l’Italia mi trovo spesso a decantare Siena e spesso invito gli altri atleti a visitare la città».

Emilio Mariotti