A Montichiello le Buche del Beato Benincasa: dalla preistoria alla fuga del diavolo

Nei pressi del paese di Monticchiello, stupendo borgo medioevale, si trova una grotta nota da tempo immemorabile agli abitanti del luogo e non solo, sotto il nome di Buche del Beato Benincasa.
Fu esplorata completamente per la prima volta dal Gruppo speleologico Urri di Sarteano nel 1959 e poi dall’Associazione Speleologica Senese nel 1962.
La grotta è situata a circa un chilometro in linea d’aria a nord di Monticchiello nel comune di Pienza, sulla sponda destra del torrente Tresa tributario più a valle del fiume Orcia affluente dell’Ombrone.
Franco Fabrizi e Franco Rossi dell’ Associazione Speleologica Senese ci spiegano che la cavità presenta 3 ingressi nella gola scavata dal torrente, attualmente quasi sempre in secca, che, dopo il suo tratto iniziale in terreni pliocenici, poi in argille e calcari palombini, incontra qui un affioramento di Calcare massiccio e Calcare selcifero stratificato.
La grotta si è formata con l’azione erosiva e corrosiva del torrente che, incontrando lo sbarramento calcareo, lo ha scavato in senso pressoché perpendicolare rispetto al suo attuale letto di scorrimento.
Sono anche visibili alcuni esempi di corrosione differenziata che ha messo a nudo globetti o pani di selce più dura e meno solubile della roccia circostante.
L’ingresso più basso situato a livello del torrente immettebnella “sala del trono”, la più ampia di tutta la buca, così chiamata per un caratteristico gruppo centrale di stalagmiti. Da un’altra diramazione si giunge alla base di un pozzetto di 6 metri, risalito il quale, attraverso ulteriori fessure si perviene alle sale superiori e agli altri due ingressi. In fondo alla sala del trono, seminascosto da guano e fango, si apre un’esigua strettoia di circa 15 metri che sbocca nella “sala del lago fossile” così chiamata perché il pavimento è costituito da un consistente strato di finissimo limo semi-disseccato, ultimo deposito delle acque dei mari in ritirata. Qui termina la cavità e i molti tentativi di scoprire ulteriori prosecuzioni sono sempre stati vani.
La grotta, ben nota agli abitanti del luogo è sempre stata molto frequentata soprattutto nei suoi settori iniziali perché meta di periodici pellegrinaggi da parte dei devoti al Beato Benincasa che trascorse gran parte della sua vita in uno degli ingressi. Talvolta qualche manipolo di curiosi e cercatori di tesori si era spinto fino alla sala del trono come fanno fede le molte firme incise qua e là. Negli ultimi anni con le frequenti escursioni si sono scoperte tracce di reperti preistorici in prossimità dell’ingresso basso e se ne fu fatta tempestiva segnalazione.

 


I reperti non erano nettamente affioranti perché ricoperti da vario strato di limo e sabbia e nel 1973 fu deciso di effettuare due regolari campagne di scavi da luglio a settembre a cura dell’Istituto di Antropologia Umana dell’Università di Pisa, con la collaborazione continua e volontaria dell’Associazione Speleologica Senese.
Lo studio degli abbondanti materiali dimostrò che la grotta fu frequentata in un arco di tempo molto lungo, anche se non continuativo, come rifugio ed abitazione temporanea e talvolta anche a scopo sepolcrale e sacrale, come dimostrano anche numerosi resti scheletrici umani.
Del periodo neolitico furono ritrovate ciotole emisferiche, boccali carenati, vasi a corpo ovoidale con decorazioni a solcatura di vario tipo. Lame e schegge ritoccate in selce e in ossidiana, accette e scalpello in pietra levigata, punteruoli in osso e ornamenti in steatite.
Dell’ eneolitico invece furono riportati alla luce vasi e tazze coniche con decorazioni, punte di freccia e lame in selce, un bracciale da arciere, un pugnaletto in bronzo.
Dell’Età del bronzo furono scoperti oggetti metallici per lo più di uso ornamentale.
E per finire si scoprì qualche traccia di frequentazione in epoca etrusca e numerose monete romane probabilmente lasciate nella grotta a scopo votivo.
Nel medioevo la cavità fu usata anche a fini abitativi come dimostrano ceramiche di uso domestico.
Tutti i reperti provengono dalla zona dell’ingresso basso, quasi a livello del torrente, mentre l’ingresso superiore (quello abitato dal Beato) ha dato solo scarsi resti di epoche recenti.
La storia narra che Giovanni Benincasa (cugino di Caterina Benincasa nata come Santa Caterina da Siena) nacque a Montepulciano nel 1375 e realizzò la sua vocazione nel 1400 professandosi religioso dell’ordine dei Servi di Maria presso il convento della città natia. Ottenne dai superiori il permesso di condurre vita solitaria in penitenza.

 


Dopo un soggiorno di pochi mesi nell’eremo di Bagni San Filippo presso il Monte Amiata, si trasferì a Monticchiello dove i Servi di Maria possedevano l’appezzamento di terra prossimo alla grotta nel cui ingresso superiore scelse la sua dimora di romito. Qui trascorse venti anni in preghiera e penitenza svolgendo umili lavori necessari a un minimo di ostentamento e vi morì il 9 maggio 1426 venerato da tutto il popolo.
Da allora fiorirono le leggende. Nacque una disputa tra i padri Serviti che volevano traslare il corpo nel convento e gli abitanti di Monticchiello che lo volevano nella loro chiesa. Si fece ricorso al “giudizio di Dio”: il feretro fu issato su un carro tirato da buoi bianchi, lasciando a questi la scelta. I buoi si diressero a Monticchiello fermandosi proprio davanti alla chiesa. Il popolo gli attribuiva molti miracoli e il suo corpo fu lungamente conteso. Nel 1600 si fecero avanti i Servi di Maria di Firenze che pretesero ed ottennero il corpo lasciando ai paesani solo un braccio come reliquia. Seguirono altre innumerevoli diatribe finché nel 1822 il corpo fu riconsegnato alla comunità di Monticchiello dove tuttora si trova conservato in una pregevole urna nella chiesa di S. Leonardo.
Ogni anno i paesani si recavano in processione all’ingresso superiore della grotta a pregare nel luogo che la credenza popolare designava come “il giaciglio del Beato”, dove fu murata una lapide e una croce (tuttora esistenti) in occasione del quinto centenario della morte, il 9 maggio 1926.
La leggenda più caratteristica sul Beato Benincasa è quella delle “orme del diavolo” : si narra che il santo fosse frequentemente preda delle tentazioni del demonio che gli si presentava nelle classiche sembianze di caprone. Con la sua forza ascetica il Benincasa lo scacciò e lo costrinse ad andarsene spiccando un salto al di là del profondo baratro che sovrasta il torrente. Il diavolo lasciò le sue impronte nella viva roccia e queste sono visibili a poca distanza dall’ingresso superiore.

 


Secondo gli annali dell’epoca, al momento della morte del Beato Benincasa tutte le campane di Monticchiello e delle contrade vicine si misero a suonare da sole.

Gabriele Ruffoli