Rapporto CENSIS: meno capacità di futuro e maggiori distanze sociali

Parole e terminologia diverse equivalgono a significati differenti. Come possiamo comprendere messaggi contrastanti che ci arrivano quotidianamente? L’ultimo rapporto CENSIS sulla situazione sociale del nostro Paese accende molte riflessioni e interrogativi.

“Ci siamo mossi facendo sviluppo non espansione economica”. Sviluppo equivale a progresso, crescita economica a aumento del PIL e del reddito pro-capite. La ripresa dovrebbe indicare l’inizio di un nuovo ciclo economico, invece sembra che stiamo ancora concludendo quello precedente.

 “Il futuro si è incollato al presente”. Non immaginiamo, abbiamo perso la capacità di vedere nel cammino della nostra vita la normale evoluzione verso il miglioramento delle condizioni economiche e sociali. Siamo schiacciati sul breve periodo, con la politica rivolta alla ricerca di un mi piace, in un gioco mediatico che ha prodotto disimpegno verso il futuro e veloci risposte a breve. “Ma proprio lo spazio che separa il presente dal futuro è il luogo della crescita”, perché il futuro occorre prepararlo prima.

“Siamo un Paese invecchiato che fatica ad affacciarsi sullo stesso mare di un continente di giovani”. In questo passaggio le parole corrono veloci ed è impossibile non riportarle fedelmente: un Paese “impotente di fronte a cambiamenti climatici e a eventi catastrofici che chiedono grandi risorse e grande impegno collettivo; ferito dai crolli di scuole, ponti, abitazioni a causa di una scarsa cultura della manutenzione, ambiguo nel dilagare di nuove tecnologie che spazzano via lavoro e redditi”.

Si parla di un nuovo fantasma sociale chiamato declassamento, soprattutto tra i Millenials, con la percezione di scivolare facilmente verso il ceto sociale più basso e non di risalire la scala. La sfiducia verso Partiti politici, Governo e Istituzioni è alta e generalizzata, indice di uno scollamento tra la vita reale dei cittadini e la vita a palazzo. Indice di uno strato sociale che non si identifica con la ripresa (che pure nei numeri c’è) a esplicitare che il cosiddetto dividendo sociale non si è distribuito e, quindi, in molti si sentono bloccati, posizione che inevitabilmente crea rancore rafforzando le distanze verso gli altri, diversi per provenienza, religione, sesso o età.

“Siamo un Paese rimpicciolito”, con calo delle nascite e aumento della longevità e nella piramide professionale, crescono le professioni intellettuali e gli addetti alla consegna delle merci, aumentando la distanza tra area non qualificata (in basso) e vertice (in cima). Ma attenzione, sono diminuiti operai, artigiani, e impiegati.

Tanti altri sono i dati, anche con note positive, come quella che abbiamo imparato a spendere meglio e a coccolarci di più, ma ciò che mi colpisce e che è in linea con la mia percezione della realtà quotidiana è proprio che il nostro immaginario collettivo ha perso la sua capacità propulsiva. I miti in cui ci si identificava durante il miracolo economico italiano come la prima casa o l’automobile hanno lasciato il posto a social network, smartphone, tatuaggi, chirurgia estetica e selfie.

Occorre allora interrogarci, perché nell’insieme di valori e simboli si innesta l’agenda sociale condivisa.

Sostituire al frastuono mediatico e all’impoverimento del linguaggio una terminologia nuova, che tenga in considerazione come la creazione di distanze sociali non giova, anzi, arriva a parlare di ripresa al cittadino che non riconosce la sua voce.

Maria Luisa Visione