Possibilità reale di cambiare le regole europee?

Ad oggi la procedura di infrazione per eccessivo debito pubblico non è stata mai applicata a nessuno degli Stati membri dell’UE. Non esiste un precedente perché non si è mai arrivati al punto di rottura vera degli equilibri.

Già nel 2005, nel periodo 2009-2013 e a novembre 2018 la Commissione Europea è intervenuta per riportare in linea i numeri dei conti pubblici italiani, obiettivo raggiunto in tutti e tre i casi.

Adesso, però, siamo più avanti. L’art.126 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea disciplina l’iter di comportamento di fronte al debito eccessivo, senza lasciare dubbi.

Dal momento che l’abbiamo firmato, o cambiamo le regole, oppure gioco forza dobbiamo rispettarle.

Perché il punto è che abbiamo firmato una regola che ci impegna a ridurre il debito pubblico di un ventesimo l’anno a buona velocità fino ad arrivare al traguardo dell’obiettivo del 60%. Dato che nel 2018 il rapporto debito/PIL è stato del 132,2%, nel 2019 si prospetta intorno al 133,7% e, secondo alcuni, potrebbe di questo passo andare oltre il 135% nel 2020, mi sembra che la questione si complichi. Nel senso, che se questo è ciò che dobbiamo fare, non ci sono proprio le condizioni economiche oggi per farlo.

Tuttavia, bisogna che chiariamo il contenuto dell’art. 126 citato.

Il primo aspetto è che la valutazione della Commissione parte dal presupposto di definire se si tratta di un superamento della soglia solo eccessivo e temporaneo oppure no. Dal momento che questa storia con Bruxelles sembra non finire mai, non è questa la casistica.

L’altro aspetto è che l’intervento delle autorità europee è modulare; parte da una relazione che viene valutata da un comitato economico e finanziario e, se i presupposti di violazione sono confermati, il parere viene trasmesso allo Stato membro, informando nel contempo il Consiglio Europeo. A quel punto il Consiglio (dopo aver sentito il Paese interessato e la Commissione), adotta “senza debito ritardo” le raccomandazioni allo Stato membro con l’indicazione dei tempi per ridurre il debito. Se non funziona, il Consiglio intima di provvedere. Attenzione, le raccomandazioni inizialmente sono private, poi diventano pubbliche. Intimare significa che si chiede il piano di rientro in dettaglio, senza “se” e senza “ma”.

Ora il passaggio delicato è che, in tutto questo balletto, il Consiglio può decidere di: 

  1. chiedere allo Stato membro di pubblicare informazioni supplementari da lui specificate, prima dell’emissione di obbligazioni e altri titoli;
  2. invitare la Banca Europea per gli investimenti a riconsiderare la politica sui prestiti allo Stato interessato;
  3. richiedere che lo Stato membro depositi una somma di denaro (a titolo infruttifero) di importo adeguato finché non rientra dal debito;
  4. infliggere ammende di entità adeguata.

Naturalmente se tutto rientra tutto torna nella norma e viene reso pubblico il nuovo stato dell’arte.

Quindi, non si scappa e anche se nessuno sa, dato che non ci sono precedenti, fino dove si possa arrivare, la sostanza del discorso è che se non si trovano i soldi vanno trovati e non vedo tante possibilità, con queste regole, oltre quelle dell’aumento delle tasse e dei tagli alla spesa pubblica. Basti pensare che la stima dell’importo da mettere sul deposito infruttifero è circa quella che servirebbe per dare un primo segnale e farci prendere fiato.

Non possiamo poi stupirci se in molti pensando all’Europa non si sentato affatto tutelati e che cresca una sorta di sentimento negativo. 

Le norme europee così come sono state scritte e firmate hanno una chiara ratio e si comportano da regole.

Se davvero vogliamo cambiarle, come affermato da più parti, è arrivata l’ora di farlo.

Maria Luisa Visione