La sostenibilità delle pensioni, dell’assistenza sanitaria e dei diritti sociali


Novità pensioni: il libretto di istruzioni dell’APE aziendale

Sostenibilità è la parola che ci accompagnerà di più nei prossimi giorni, mesi e credo anni.

La vedremo associata a tutti i diritti che una volta richiamavano il concetto di prestazione da parte dello Stato, come ad esempio la sostenibilità delle pensioni e quella del sistema sanitario nazionale. La troveremo accanto al fantasma del debito pubblico e dei conti pubblici, mentre ripropone il suo significato dottrinale, appaiata alla realizzazione di progetti di investimento, quale necessità di essere in grado di generare flussi finanziari in entrata, superiori a quelli in uscita. Di essere in equilibrio con le coperture finanziarie, in sostanza; concetto indiscutibile per una gestione economica e finanziaria virtuosa di un’azienda. 

Ed è un termine che per sua natura non può non piacere, perché richiama il concetto di serenità e la serenità richiama quello di sicurezza, e, la sicurezza, quello di certezza. Avere certezze è un bisogno sincrono, contestuale al nostro tempo e contesto fuggevoli. Abbiamo bisogno di certezze e non più di bollettini economici-finanziari che ci fanno sentire in perenne instabilità. 

Su questa scia l’Ansa batte la notizia che siamo rimandati alla vera verifica sull’andamento dei conti pubblici italiani forse addirittura alla primavera del 2019. Durante questo periodo l’Italia è invitata a seguire la strada già intrapresa per garantire la sostenibilità del sistema pensionistico e tagliare le pensioni troppo alte e non coperte dai contributi versati. Sono in arrivo, infatti, le raccomandazioni di Bruxelles ai Paesi dell’UE.

Raccomandazioni che non farebbero una grinza, dal momento che segnalano di rimediare a forti asimmetrie nelle prestazioni pensionistiche erogate, rispetto ai livelli effettivi di contributi versati. Eredità del passato, certo, che penalizza, però molti contribuenti nell’attuale sistema pensionistico a ripartizione.

La fonte di tale orientamento possiamo rintracciarla nell’Europact firmato a marzo del 2011, che lega l’attuazione del Patto di stabilità e crescita alla sostenibilità di pensioni, assistenza sanitaria e prestazioni sociali. Per i non intenditori siamo alle origini del Fiscal compact.

Alla lettera: “Si procederà ad una valutazione soprattutto in base agli indicatori del divario di sostenibilità. Tali indicatori valutano se i livelli di debito sono sostenibili sulla base delle politiche in corso, in particolare i regimi pensionistici, di assistenza sanitaria e previdenza sociale, tenendo conto dei fattori demografici”. La sostenibilità, in questo caso, è quella delle finanze pubbliche.

Lo spunto di riflessione è non fermarsi al fatto che se si recuperano risorse e si dirigono in maniera più equa, questo sia cosa buona e giusta. Ma decidere se siamo d’accordo con l’applicazione dell’orientamento, ormai generalizzato, della sostenibilità dei conti pubblici ai diritti sociali, perché le prestazioni sociali nascono come diritto e poggiano sulla contribuzione, ma anche sull’intervento, quando è necessario, da parte dello Stato per difendere la dignità umana.

La Corte Costituzionale nella sentenza 275/2016, dichiara “E’ la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”, ricalca il mio pensiero, per il quale non c’è sostenibilità sufficiente dei conti, se non vengono rispettati i diritti inviolabili.

Per fortuna, come ci ricorda il premio Nobel dell’economia Paul Krugman, “un Paese non è un’azienda”.

Maria Luisa Visione