La fine del low cost è nella sua trasformazione

Aveva ragione Antoine-Laurent de Lavoisier quando asseriva che “niente si crea, niente si distrugge ma tutto si trasforma”, molta ragione perché forse la società del low cost non verrà distrutta ma si trasformerà in maniera radicale.
In effetti ho seguito, in questi giorni, ancora le reazioni che ci sono state rispetto alla vicenda Ryanair e questo non tanto per dare voce alle peripezie di una società in crisi che, pur grande, interessa relativamente a livello macroeconomico ma per capire se realmente  il modello del low cost sia arrivato al capolinea e dove, in futuro, può andare.
Mi ha fatto piacere, in tal senso, che alcuni economisti (Gaiazzi, su “Gli stati generali”, oppure Carlo Formenti su Micromega o ancora Davide Agazzi nel suo redazionale) sia sulla carta stampata che su internet abbiano ripreso quanto avevo detto circa la poca edibilità e la mancanza di futuro per questo modello di sviluppo che, di per sé, si basa sullo sfruttamento sconsiderato sia del capitale umano che della materia prima dandone una fine quasi certa.
Ci avevo preso, come si dice in gergo.
E allora se il sistema del “prezzo a tutti i costi” dà segni di cedimento, quali potrebbero essere le prossime ripercussioni? Si parla poco o nulla, ad esempio, dei grandi discount alimentari: i recenti scandali finanziari dei “padri” tedeschi di questo sistema contorto di vendita stanno però aprendo il pentolone e, di qui a poco, credo che verranno fuori non pochi problemi. Dei taxi di Uber, per ora, ha cominciato l’amministrazione della città di Londra a levar loro la licenza; da qui a breve potrebbero seguire importanti ripercussioni anche in altre capitali europee.

Poco incontra anche la promessa dei gestori telefonici che, a suon di colpi a ribasso sui prezzi, stanno diminuendo la bontà del servizio e sempre di più riempiendo con altri contenuti (pubblicità, ad esempio) un qualcosa che richiede solo copertura e chiarezza dei dati: la bolletta a settimana, che di fatto, introduce una mensilità in più è forse l’estremo tentativo di combattere su un piano “low” una battaglia che invece andrebbe fatta sulla puntualità del servizio e la chiarezza dei conti

Sono molto d’accordo, in tal senso con Carlo Formanti quando dice che “la Wal Mart Economy”, cioè quel sistema che ha in qualche modo permesso alle imprese americane di tagliare i salari dei dipendenti grazie al fatto che costoro possono acquistare le merci a basso costo (e di pessima qualità) che la grande catena discount importa dalla Cina: un infernale intreccio fra salari da fame, tempi di lavoro massacranti e spaccio di prodotti scadenti. Analogamente, gli utenti dei servizi low cost (oltre a essere spesso costretti a svolgere parte del lavoro che prima spettava ai dipendenti del servizio) si “godono” prodotti scadenti, livelli inferiori di sicurezza, dialoghi con operatori di call center che non capiscono la loro lingua, ecc. Del resto, l’utente è spesso un lavoratore che, a sua volta, opera in imprese simili a quelle dalle quali acquista il prodotto o il servizio. Un circolo vizioso che, oltre a generare sovraprofitti, ha il merito collaterale di far credere ai membri d’una classe media impoverita di poter ancora accedere a beni “di lusso”.

Anche perché, in fondo in fondo, un funerale all inclusive a 990 euro con bara di compensato e canzoni stonate non è poi la migliore delle aspettative.

Viva, sempre e per sempre, il tricolore

Luigi Borri