Virginia Martini Salvi: poetessa dimenticata

Correva l’anno 1552 e Siena, dopo decenni di occupazione spagnola, viene finalmente liberata dagli alleati francesi, accolti come eroici liberatori anche da chi, fino a quel momento, si era mostrato affiliato alla precedente sovranità di Spagna. Era facile suscitare il dissenso di questi: bastava avere un animo indomito, ideali differenti e una favella mischiata a coraggio, tali da non aver timore di proclamare liberamente il proprio pensiero, incuranti delle conseguenze che, si sa, a quel tempo potevano avvalorare il detto “oggi ci sei, domani non ci sei più”.

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Virginia Martini Salvi nasce da una famiglia focosa, volta al raggiungimento di primati politici, la quale, suo malgrado, non riuscì a trovare appoggi ed alleanze per lo scopo. Virginia, invece, si fece animosa sostenitrice filofrancese, armandosi della potente bellicosità della “parola” che sapeva meravigliosamente destreggiare. Abile poetessa, la donna non limitò i suoi componimenti a semplici testi, ma li diffuse come veri e propri volantini di propaganda, suscitando dissensi a tal punto dall’essere rilegata ai domiciliari nella casa del padre, a Casole. Sembra che il suo interesse politico nacque con l’assidua frequentazione dell’Accademia degli Intronati, promotrice di intrattenimenti letterari che animavano il già fervido ambiente e i tempestosi attriti che invadevano la città , in quel periodo di assedio spagnolo. La penna di Virginia trovò pace solo nel 1552, quando l’esercito francese si insediò tra le mura di Siena e riuscì a cacciare gli Spagnoli, envento che ispirò gli elogi poetici della donna, rivolti sopratutto alla figura di Enrico II, descritto non come un duro conquistatore ma, bensì, come il condottiero persuasivo e fiero che liberò la sua patria dall’oppressione nemica; una visione che sottolinea il femminile sguardo all’attualità, libero dagli inquinamenti macchinosi e venali prettamente maschili, un ben più romantico filo conduttore che narra i fatti e gli avvenimenti politici della città.

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L’esilio a Roma di Virginia, avvenuto dopo il 1555, si evince facilmente dal continuo appellarsi alla moglie e alla sorella di Enrico II, carteggi nei quali la poetessa si premura di chiedere la continuità nella difesa dei suoi luoghi natali e di salvaguardare le nobili intenzioni che mossero i sovrani francesi. L’operato di Virginia, quindi, è una precisa narrazione dei fatti che scossero Siena in quegli anni e, anche se raccontati in poemi e sonetti, non si spiega perché la sua produzione finì per essere quasi totalmente eclissata, tanto che si rischiò di perdere completamente la memoria di questa indocile donna senese, riducendola ad una poetessa dimenticata e cadendo nel tremendo errore di svalutare un animo tanto patriottico quanto il suo.

Ad oggi, per fortuna, possiamo trovare la sua completa opera poetica raccolta dalle minuziose e poliennali ricerche di Konrad Eisenbichler (“L’opera poetica di Virginia Martini Salvi”, Accademia senese degli Intronati, Siena 2012 ), ma ci sarebbe da chiedersi per quale astruso motivo, una voce tanto forte e dissonante, uno spirito tanto indomito che inneggiava alla libertà con l’utilizzo non violento della poesia, possa aver rischiato di precipitare inesorabilmente nell’oblio.

Virginia Martini Salvi è attualità. Lei e la sua storia sono l’involontario testimone di quanto la libertà di pensiero e di espressione possa far paura, di quanto una penna possa ferire più di una spada ( o di un kalashnikov, magari) e di quanto tali personalità siano destinate a trovare grossi ostacoli, finendo addirittura per essere isolate o del tutto cancellate, spinte ai margini della società.

Prendiamo esempio. Apriamo la bocca e nessuno ci chiuderà mai gli occhi.

Arianna Falchi