Vicolo delle carrozze: la strada dei molti “peccata”.

Uno dei vicoli più caratteristici è senz’altro il vicolo delle Carrozze, che prende le mosse da via di Diacceto e corre parallelo a via Franciosa, ricollegandosi a questa ad un certo punto del suo tracciato attraverso un angusto passaggio coperto, reso nuovamente accessibile soltanto nel 1982. Dopo questo collegamento, il vicolo prosegue ancora per un breve tratto, rimanendo poi senza sfondo; in passato, invece, la stradina sfociava nell’odierno vicolo di Vallepiatta mediante un accesso ancora oggi esistente, seppur all’interno di un portone posto proprio a capo di quest’ultimo. Fino al 1982, peraltro, il vicolo delle Carrozze era chiuso con un cancello anche dal lato di Diacceto e questo, d’altronde, è stato il suo destino addirittura dalla fine del Duecento: una rubrica dello Statuto dei Viari datata al 1298 ordinava, infatti, che il “classus qui est in Valle Piacta”, ove aveva la propria dimora un tal Pennuccio fornaio, doveva essere chiuso da ambedue i lati. Le motivazioni alla base di una decisione così drastica erano decisamente valide: la strada era talmente buia che vi si commettevano molti “peccata”, e in particolare i malintenzionati che volevano ferire o uccidere qualcuno, come testualmente recita la disposizione, vi si nascondevano di sera e con il favore delle tenebre colpivano indisturbati. Per il suo uso futuro, il Comune preferiva che fosse venduto o affittato a qualche privato, ma se tale soluzione non fosse stata praticabile, si stabiliva di murarlo definitivamente in modo che nessuno potesse più entrarci. Non sappiamo esattamente quale sorte sia toccata al vicolo, anche se probabilmente fu serrato davvero, visto che la rubrica statutaria risulta depennata in quanto eseguita; la stessa veduta di Siena del Vanni (1595) lascia solo intravedere lo spazio del vicolo dietro i fabbricati di via Franciosa. Il nome attuale, però, chiarisce come sia stato utilizzato almeno dalla fine del Seicento, quando le sue vicende si legano indissolubilmente all’albergo “La Scala”, uno dei più rinomati luoghi di sosta della città, che aveva sede nei fabbricati oggi posti tra piazza San Giovanni e via di Diacceto. Non sappiamo con precisione quando l’osteria abbia aperto i battenti, di certo era già in funzione nella seconda metà del XVII secolo, quando se ne trovano le prime testimonianze: nelle sue “Memorie” scritte a cavallo tra Sei e Settecento, infatti, Girolamo Macchi denomina il tratto di via di Diacceto posto sotto il fornice come “Chiasso dell’Osteria della Scala”, mentre una carta conservata nell’Archivio Arcivescovile, e datata al 1694, ricorda che un contadino di Colle Val d’Elsa, venuto in città per vendere il proprio vino, fu colto da un’improvvisa colica e portato “nell’Ostaria della Scala”. La sua denominazione era abbastanza “scontata”; si chiamava così, infatti, perché il suo ingresso era in piazza San Giovanni, proprio di fronte alla scalinata del Battistero; allo stesso modo, del resto, anche l’ospedale di Santa Maria della Scala deve il suo nome all’essere sorto davanti alla scalinata della Cattedrale. La presenza di un albergo così vicino dette nuova linfa al vicolo, che divenne una specie di “parcheggio” per le carrozze e i calessi dei signori che vi soggiornavano: si spiega così la sua odierna denominazione. Nel chiasso, poi, si trovavano anche diverse stalle in cui riposavano e si rifocillavano i cavalli dei viaggiatori, ed é singolare come a distanza di qualche tempo una di queste sia divenuta probabilmente la “casa del cavallo” della Contrada della Selva. Proprio per la fitta presenza di stalle, il chiasso divenne sede della Corporazione dei Maniscalchi. Al vicolo si accedeva esclusivamente da Diacceto, gli altri collegamenti risultano sempre chiusi in una mappa di inizio Ottocento, e il cancello veniva aperto solo per il passaggio di cavalli e carrozze, restando serrato negli altri momenti. Non a caso lo stradario del 1789 non nomina il vicolo delle Carrozze, in quanto ormai funzionale solo per “La Scala”. La strada, così, finì nel dimenticatoio, fino alla recente riapertura, dopo che l’albergo “La Scala” (oggi resta solo un’insegna sbiadita sulla facciata che si vede dal ponte di Diacceto) dovette chiudere, nel 1935, a causa dell’incombente crisi economica di quel periodo.

di Maura Martellucci e Roberto Cresti