Porta Romana: capolavoro di architettura che unisce funzionalità militare e leggerezza

Porta-Romana

E tutti i viaggiatori che sono entrati in Siena da Porta Camollia, lungo la via Francigena, sempre lungo la via Frangigena (o Romea, è più appropriato in questo contesto) quando lasciano la nostra città escono da Porta Romana, o “Nuova”, come viene definita spesso nei documenti coevi. Porta Romana è davvero il “biglietto da visita” più elegante e bello che Siena può offrire ai pellegrini che si incamminano verso Roma.

Realizzata molto tempo dopo rispetto a quella di Camollia, cui abbiamo dedicato l’articolo della settimana precedente, la sua costruzione rientra nel piano di ampliamento delle mura urbane progettato dal Governo dei Nove all’inizio del Trecento, durante il periodo aureo di Siena. Iniziata intorno al 1327, risulta terminata già due anni dopo, come conferma la lapide con la Balzana, murata a sinistra del fornice principale e riportante l’anno 1329.
E’ questa un’epoca in cui le esigenze difensive, pur sempre rilevanti, sono comunque meno impellenti rispetto ai due secoli precedenti, come conferma proprio la struttura di porta Romana, così come quella dei Pispini, eretta in quegli stessi anni.

I Nove non badano a spese per la sua edificazione e affidano il progetto a due architetti del calibro di Agnolo di Ventura e Agostino di Giovanni. Questo nuovo ingresso, infatti, è posto sul lato cittadino meno vulnerabile e lungo la via Francigena, dunque deve costituire il biglietto da visita di Siena, visibile anche a molte miglia di distanza. Per questo motivo deve essere prioritario il suo aspetto monumentale, più della funzionalità, considerando anche il ruolo di rappresentanza civica assegnato alle nuove porte dal Governo dei Nove. Non a caso, esempio unico tra gli ingressi urbani, il fronte interno è monumentale e imponente quanto quello esterno, e la Balzana è presente, oltre che nelle facciate del torrione e dell’antemurale, anche su questo lato, sopra il fornice.

A conclusione dei lavori, in effetti, il risultato è proprio quello sperato, tant’è che porta Romana appare talmente maestosa ad Agnolo di Tura del Grasso, autore intorno alla metà del XIV secolo della “Cronaca senese”, da definirla con queste parole: “grande e bella, di gran difitio più che porta che sia in Italia”. ”. D’altronde, trovandosi sulla Francigena, doveva essere il biglietto da visita di Siena e quindi la sua monumentalità fu ritenuta prioritaria rispetto alla funzionalità.

Questa rimane la preoccupazione principale dei governanti senesi anche nel secolo successivo, quando vengono adottate varie misure non solo per aumentarne la bellezza, ma anche per tutelarne la visibilità. Nel 1408, ad esempio, il Concistoro ordina addirittura la demolizione del vicino convento di San Barnaba, reo di impedire la visuale della porta da Valli. Di fronte alle rimostranze delle monache che lo abitavano, nel 1412 il Consiglio Generale ribadì la necessità di abbatterlo “acciò che la detta porta rimanga libera et expedita et veggasi la sua bellezza”.

Ancora con questo nobile fine, una situazione identica capita qualche tempo dopo: nel 1484 una deliberazione del Consiglio Generale stabilisce di demolire una porzione dell’ospedaletto di Santa Caterina delle Ruote, che probabilmente sporgeva sulla strada (odierna via Piccolomini). L’atto è assai chiaro sul perché tale demolizione è necessaria e quindi lo riportiamo per intero. “Considerato che la Porta nuova à reputazione essere una delle belle, condegne porte d’Italia et maxime essendo su la strada romea”, ma essendo stato “giudicato per li homini pratichi che solo habbi mancamento d’un poco di vista, la quale essendo da un piccolo cantone di casetta de lo Spedale di Santa Caterina impedita”, si propone, appunto, l’abbattimento di quell’angolo di ospedaletto. Solo così, tra l’altro, si può godere del panorama della campagna circostante (“la quale veduta dipoi coll’occhio si scorge da la porta per infino presso a la volta di Valli, che in vero sarà bellissimo acconcio ed ornato et utile per molti rispecti”).
Nel frattempo, anche la porta viene decorata e abbellita con l’affresco della grande edicola del torrione. Questo viene commissionato a Stefano di Giovanni detto il Sassetta, che però muore nel 1450 lasciandolo incompiuto; raffigurante “L’Incoronazione della Vergine” è terminato subito dopo da Sano di Pietro.

di Roberto Cresti e Maura Martellucci